Repubbliche partigiane

Fioriscono le Repubbliche partigiane. La Repubblica dell’Ossola

Tra l’estate e l’autunno del 1944 le brigate partigiane arrivano a liberare e a controllare numerosi territori (“zone libere”). Per “zone libere” ( definizione corrente nei documenti militari e politici della Resistenza) s’intendono i territori posti temporaneamente, durante i venti mesi della guerra di Liberazione, sotto controllo partigiano e sui quali si realizzano, accanto al presidio militare, interventi di carattere amministrativo e politico. Tra giugno e luglio del 1944 dalla Valsesia all’Appenino emiliano e a quello ligure piacentino, dalle vallate cuneesi a quelle friulane, le porzioni di territorio via via liberato si estendono e si moltiplicano. In una successiva fase, quando già alcune delle prime subiscono l’offensiva nazifascista, si creano nuove zone libere dalla Carnia all’Ossola, dall’Imperiese, alle Langhe all’alto Monferrato. Solo alle soglie dell’inverno il fenomeno è liquidato completamente. Si contano diciassette-diciotto zone libere e “repubbliche partigiane”, termine che serve a enfatizzare la novità soprattutto politica della situazione, laddove un’occupazione partigiana abbastanza duratura permette di abbozzare anche nuove istituzioni politiche. Nei casi di maggior rilievo per intensità e durata, come per esempio nella Repubblica di Montefiorino (17 giugno-1 agosto ) e nell’Ossola ( 10 settembre-14 ottobre) si realizzano forme di partecipazione democratica ed esperimenti di democrazia (giunte comunali, cln di paese, di vallata, di zona), anticipazioni dell’assetto futuro della vita locale quale avrebbe dovuto essere a Liberazione avvenuta.

La nascita della Repubblica dell’Ossola

Dopo le azioni di guerriglia nel mese di agosto, nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1944, i comandanti partigiani delle divisioni autonome (Dionigi Superti e Alfredo Di Dio, rispettivamente delle divisioni Valdossola e Valtoce) trattano la resa con i tedeschi e i fascisti: intermediari i parroci di Domodossola, don Luigi Pellanda, e di Masera, don Severino Baldoni. La mattina successiva l’Ossola intera è finalmente sgombra dai nazifascisti , mentre le prime formazioni partigiane entrano a Domodossola: la città è un trionfo di colori rosso, azzurro e verde, sui balconi sventola il tricolore e la gente si riversa festosa nelle strade. La sera, la fine del coprifuoco e le luci nelle vie e nelle case danno a tutti gli ossolani la sensazione della fine della guerra.

L’11 settembre si gettano le basi per assicurare all’Ossola una forma di vita ordinata e democratica. Il lavoro da fare è immane. Il territorio libero copre una superficie di circa 1600 chilometri quadrati, gli abitanti sono oltre 82 mila, i comuni 32. La regione , fino al corso del Toce a sud di Domodossola, è prevalentemente montuosa e non si presta a un’agricoltura intensiva. C’è qualche industria chimica e meccanica e numerose centrali elettriche in grado di fornire energia a Novara e a Milano. Ma l’economia è povera. Tuttavia, la zona libera confina con la Svizzera e ciò consente il passaggio di uomini e merci. La costituzione di un governo democratico, oltre a garantire l’attività amministrativa, ha come obiettivo il proprio riconoscimento da parte del governo elvetico, presupposto indispensabile per ricevere aiuti finanziari e militari, oltre che per intensificare gli scambi commerciali.

Man mano che i giorni passano, nei centri e nei paesini delle valli, ritorna un clima di serenità che nessuno ricordava più. Cominciano a circolare i giornali, servizi e pubblici trasporti si riorganizzano, si rivitalizza il lavoro.

L’attività della Giunta

La Giunta Provvisoria di Governo si insedia l’11 settembre 1944. È presieduta dal professore socialista Ettore Tibaldi, e in essa sono rappresentate tutte le forze politiche. L’insediamento avviene ad opera del comando militare partigiano in mancanza di un CLN di Domodossola. Tibaldi, comunque, dichiara immediatamente la propria adesione alle direttive del CLNAI. Analoga adesione viene formulata dalla Giunta al “Governo democratico che ha sede nella capitale della Nazione”.

La situazione è difficile e la Giunta deve operare in ogni direzione, dall’ordine pubblico all’alimentazione della popolazione civile e delle formazioni partigiane, dal sistema finanziario ai servizi pubblici essenziali, oltre a provvedere all’amministrazione della giustizia, per la quale viene chiamato come “giudice straordinario” Ezio Vigorelli.

Per assicurare il rifornimento dei viveri, date le scarse risorse disponibili, viene organizzato un vero sistema di “commercio con l’estero”, attuato con meccanismi di “clearing Svizzera Ossola” che garantisce l’afflusso immediato di generi di prima necessità dalla Confederazione elvetica.

Rilevante il lavoro svolto dalla Giunta per riattivare i servizi essenziali e l’attività a sostegno dei lavoratori: i liberi sindacati si ricostruiscono in luogo di quelli fascisti immediatamente disciolti; si ricostituiscono la Camera del Lavoro e le commissioni interne alle fabbriche e si riorganizzano le mutue; particolarmente curata anche l’assistenza sociale, a cui viene preposta, in qualità di Commissario della Giunta, Gisella Floreanini.

Significativa anche l’azione della Giunta nel settore scolastico, con la definizione di un programma di riforma di ampio respiro: un’apposita Commissione didattica, presieduta dal commissario per l’istruzione, provvede , nell’imminenza della riapertura delle scuole, all’abolizione dei libri di testo incompatibili con i principi di libertà e democrazia.

Repubbliche partigiane/zone libere

Roberta Mira ne parla sul Dossier «EReview»

Le repubbliche partigiane tornano periodicamente ad affacciarsi nella narrazione della Resistenza come manifestazioni dell’espansione, della forza e del potere raggiunto dal movimento partigiano nell’estate del 1944; come forme di organizzazione e governo del territorio messe in piedi dalla Resistenza; e come simbolo e prefigurazione della futura repubblica democratica che sarebbe nata all’indomani della guerra. Quest’ultimo aspetto è quello che viene più spesso messo in rilievo dalle ricostruzioni dedicate a singole repubbliche o al fenomeno più in generale, con il rischio di fermarsi ad una lettura retorica dell’argomento.

Il tema merita invece di essere approfondito dal punto di vista storiografico, prendendo le mosse dai lavori di Massimo Legnani, risalenti agli anni Sessanta e Settanta del Novecento, nei quali si poneva il problema dello studio delle zone libere e delle repubbliche non solo dal punto di vista della storia militare della Resistenza, ma anche da quelli della storia sociale e del rapporto partigiani-mondo contadino; per giungere a contributi più recenti come quelli sulla Carnia che, avvalendosi di nuova documentazione e di una prospettiva comparata, calano l’esperienza friulana in un più ampio contesto.

Il dossier 2015 di «EReview» si propone di affrontare il tema delle repubbliche partigiane a partire da un problema di definizione: si deve parlare di repubbliche o di zone libere? Quando si può utilizzare il termine repubblica partigiana? Come valutare i vuoti di potere che si creano in diverse zone d’Italia nel corso degli ultimi anni del secondo conflitto mondiale e le modalità in cui civili e partigiani tentano di colmare tali vuoti?

All’interno di questi conquistati ‘spazi d’agibilità politica’ prendono forma a livello territoriale esperimenti di organizzazione dal basso della dimensione pubblica gestiti dalle formazioni combattenti partigiane. Laboratori politico-amministrativi impegnati – a seconda dei casi in forma strettamente militarizzata o in compartecipazione con la popolazione locale – a rispondere in primo luogo alle urgenze economico-sociali imposte dalla condizione d’emergenza bellica. La prospettiva di studio che s’intende avvalorare è quella relativa all’amministrazione quotidiana del territorio, incentrata sull’analisi delle strategie gestionali messe in campo in primo luogo per affrontare problemi alimentari, di assistenza (alloggi per sfollati e sinistrati, raccolta fondi e beni di prima necessità), di ridistribuzione delle risorse (requisizioni, ammassi, calmiere dei prezzi, lotta al mercato nero), di gestione dell’ordine pubblico e di nuovo disciplinamento della moralità pubblica (condotta interna delle formazioni partigiane, provvedimenti epurativi, sanzione dei reati comuni, diritto del lavoro e assegnazione delle terre). Attraverso la scelta di tale prospettiva si vuole tentare di verificare il rapporto esistente fra progettualità ideali e risultati effettivi conseguiti nell’ambito dell’esperienza delle zone libere/repubbliche.

Il dossier intende approcciare le tematiche suaccennate concentrando l’attenzione sull’Emilia Romagna. Una lettura che muova dal piano locale permette, infatti, di tenere a fuoco l’intreccio dei legami comunitari e identitari con il territorio, con le formazioni partigiane, con singole figure significative, con gli avvenimenti legati alla Resistenza, con la presenza fascista e nazista; e di verificare come tali legami siano stati influenzati, rafforzati, intaccati ... dall’esperienza della zona libera/repubblica, sia nella situazione coeva sia in quella seguita alla conclusione della guerra.

L’analisi delle concrete risposte amministrative adottate all’interno di ogni zona libera non dovrà trascurare la dimensione comparativa sia sotto l’aspetto spaziale che temporale, prevedendo un confronto tematico – là dove risulti possibile – dei diversi casi emiliano-romagnoli con altre esperienze sviluppatesi in territorio nazionale e non nel corso del secondo conflitto mondiale; nonché per contrasto con parallele strategie economiche e assistenziali messe in atto negli stessi tempi da organismi locali dipendenti dalla Repubblica sociale italiana a livello territoriale.