LA CRISI DEL PARTITO D’AZIONE: FEBBRAIO 1946

QUADERNI

della

F.I.A.P.

© I Quaderni della FIAP

È permessa la riproduzione integrale

a fini scientifici e divulgativi del presente articolo

con obbligo di citazione della fonte

Quaderni della FIAP, n.26

La crisi del Partito d'Azione: febbraio 1946

A cura di Lamberto Mercuri

n.26

A cura di Lamberto Mercuri

Testimonianze e riflessioni di:

Vincenzo Baldazzi, Riccardo Bauer, Luciano Bolis, Leone

Bortone, Tristano Codignola, Ester Parri, Carlo L.

Ragghianti, Oronzo Reale, Pasquale Schiano, Paolo

Vittorelli.

Scritti di:

Antonio Alosco, Roberto Battaglia e Adolfo Omodeo.

Testimonianze e riflessioni di:

Vincenzo Baldazzi, Riccardo Bauer, Luciano Bolis, Leone

Bortone, Tristano Codignola, Ester Parri, Carlo L.

Ragghianti, Oronzo Reale, Pasquale Schiano, Paolo

Vittorelli.

Scritti di:

Antonio Alosco, Roberto Battaglia e Adolfo Omodeo.

https://drive.google.com/open?id=0B8bcCsEzG5UveHRqOExVSW5VdTg

La crisi del Partito d'Azione: febbraio 1946

Un fortunato ritrovamento - anni addietro - del verbale della riunione del Comitato Centrale del Partito d’Azione tenuta all’indomani del Congresso di Roma (febbraio 1946), è stata occasione della pubblicazione di esso, con una breve nota introduttiva dello scrivente, sulla rivista «Storia Contemporanea», (sett. 1976, anno VII, n. 3).

Confesso il mio proposito. Volevo con ciò riproporre una riflessione su quella vicenda, confrontare taluni giudizi d’un tempo, avere conferma o meno su determinati accadimenti: in altre parole stimolare (e raccogliere) qualche utile testimonianza e talune «riflessioni a freddo» per un approfondimento delle vicende del Partito scomparso.

Poiché la nostra democrazia è entrata in una fase assai grave, desideravo e desidero comprendere meglio quel che è successo dopo il 1945 e quel che continua ad accadere anche oggi. E tra ciò l’insuccesso del Partito d’Azione e le ragioni della mancata riflessione, del recupero delle fonti, cioè di una vera e propria ricerca su di esso.

In un certo senso sono stato fortunato. Agli amici e ai compagni autorevoli di tempi così diversi ho fatto pervenire l’estratto del saggio e ho ricevuto qualche risposta. Ringrazio di cuore quelli che lo hanno fatto e così per le loro parole sincere e soprattutto per il chiaro valore che tali testimonianze hanno. Non ringrazio, naturalmente gli altri che avrebbero potuto sicuramente arricchire il quadro conoscitivo della ricerca. Non importano le ragioni di tale silenzio (che resiste a tante cortesi sollecitazioni) anche se non è difficile constatare che gran parte del mondo politico e culturale italiano (parlo di quello ancora degno di rispetto e con il quale esiste affinità elettiva) non riesce o non desidera riflettere seriamente, forse per pigrizia, su errori sprechi, ingenuità, abbandoni di tanti anni di vita democratica. I più disponibili a riesumare le vicende trascorse, spesso lo fanno allo scopo di stravolgere tutto e agire per amore della circostanza e dell’immediato.

Si avverte, al contrario, l’esigenza di ricostruire in sede storica, con rigore di metodo e capacità diagnostica, le vicende degli uomini che operano in una dimensione che il tempo consegna alla storia. Questa esigenza sembra quanto mai avvertita dopo la dissipazione o la caduta inevitabile di un Partito al quale un gruppo di persone, animate e sorrette da un grande impulso e da quello spirito volontaristico che il momento richiedeva (e senza conformismi che di regola portano all’umiliazione), aveva dato vita.

È vero quanto ha osservato Lelio Basso: ... «il forte e combattivo movimento azionista si trovò, proprio nel culmine della lotta di Liberazione, sprovvisto di una piattaforma programmatica e di un orientamento ideologico chiaramente definito»1? Oppure è esatto ciò che ha scritto Franco Gaeta: «Più moderne (e forse troppo moderne per la società italiana del 1945) erano le posizioni del Partito d’Azione, nel quale esisteva una pronunciata capacità critica nei confronti delle ideologie e delle impostazioni tradizionali, ma non frenata da un solido contatto con le masse popolari e quindi caratterizzata da uno spesso intemperante rigore intellettuale e da una non meno coerente moralità, che rappresentava tuttavia, per l’Italia postbellica e post fascista, un incomodo esempio di salutare intransigenza, valido comunque, più che sul piano della ricerca d’un successo, su quello non meno importante del costume politico»?

In questo tempo di incertezza e di ideologie spente, continuo a tenermi aggrappato ad un punto. La ricerca storica, fatta anche di «oral history» che da noi non conosce grande fortuna, è nata da un problema del presente che può (e deve) rischiarare il passato. Una democrazia, come la nostra, che ha perso il senso della severità, della propria difesa, fatta anche di riflessione sul recente passato, per non andare incontro ad altre cadute, deve per prima ripensare in termini rigorosamente critici e volgersi ai va ori morali che animarono la sua nascita. Questo costante richiamo morale non può certo esaurirsi nella troppo abusata recita di slogan, ma deve saper cogliere, nella storia passata e nell’esperienza recente, le ragioni che hanno impedito ed impediscono l’effettiva traduzione dell’impegno morale nella pratica politica. E il suo cosciente collegamento con la cultura.

Per gentile concessione della direzione della rivista «Storia Contemporanea», ripubblico il documento in parola aggiungendovi le riflessioni ch’esso ha stimolato in alcuni protagonisti e partecipi di quella vicenda: Vincenzo Baldazzi, Riccardo Bauer, Luciano Bolis, Leone Bortone, Tristano Codignola, Ester Parri, Carlo L. Ragghianti, Oronzo Reale, Pasquale Schiano, Paolo Vittorelli.

In appendice ho ritenuto di aggiungere - per una migliore intelligenza - il contributo di un giovane studioso, Antonio Alosco, autore del volume «Il Partito d’Azione a Napoli», Napoli 1975 e due articoli: di Roberto Battaglia «Note sul Congresso del Partito d’Azione» (Il Ponte, A. III, n. 3, marzo 1946) e di Adolfo Omodeo «La frattura del Partito d’Azione» (L’Acropoli, n. 15, marzo 1946).