Rossi Una spia del regime

Manlio Magini, recensione al volume di Ernesto Rossi, Una spia del regime. Carlo Del Re e la provocazione contro "Giustizia e Libertà", Bollati Boringhieri, Torino, 2000.

Di nuovo disponibile il maggior romanzo documentale del '900

Torna finalmente in libreria, edito da Bollati Boringhieri, "Una spia del regime" (pag. 396, L. 55000), una nuova versione, considerevolmente arricchita ed ampliata a cura di Mimmo Franzinelli, del famoso "romanzo documentale" con cui Ernesto Rossi dimostrò l’impressionante rapporto intercorso nell’arco di 34 anni tra l’avvocato Carlo Del Re, spia ed agente provocatore, ed i capi della polizia fascista, poi repubblichina, infine nazista. L’edizione attuale riproduce un centinaio di documenti inediti del periodo 1930-44, nonché una ricca selezione di materiale relativa al dopoguerra (1946-1966), reperito presso l’Archivio centrale dello Stato di Roma e negli opuscoli autodifensivi approntati dalla spia nel ’60.

Il documento del dossier da cui ha inizio il "romanzo" già compromette il capo della polizia Bocchini, il quadrunviro Italo Balbo e personalmente Mussolini. Il documento finale reca la firma del tenente colonnello delle SS Kappler.

Alla prima edizione del ’55 ne successe una seconda nel ’57 e una terza nel ’68, tutte di Feltrinelli. La terza _ da me curata dopo la morte di Rossi _ rinunciava a riportare dalla seconda le reazioni dei maggiori intellettuali all’uscita del volume, ma in compenso pubblicava 27 nuovi documenti del carteggio OVRA-Del Re.

Infatti, avendomi questi denunziato per diffamazione a mezzo stampa dopo quel che di lui avevo scritto in Lettere ad Ernesto di Elide Rossi e in No al fascismo, per difendermi chiesi ed ottenni di consultare presso il "Palazzaccio" di Roma l’intero dossier dell’OVRA, e naturalmente ne copiai quei nuovi documenti.

Il volume ora offerto ai lettori da Franzinelli non si limita a riportare i più interessanti documenti della terza edizione e (della seconda) le bellissime recensioni di Augusto Monti, Domenico Rea, Alberto Moravia, nonché certe reazioni parlamentari, ma vi premette un capitolo di oltre 100 pagine nel quale ricostruisce di Del Re _ con eccezionale capacità di ricerca, analisi ed ordine _ l’apprendistato come cospiratore tra antifascisti e massoni, l’iniziale militanza in "Giustizia e Libertà", la partecipazione ai preparativi di attentati dimostrativi contro il regime, ed infine il tradimento. Avendo sottratto e perduto al gioco il cospicuo attivo di alcune curatele fallimentari ed atterrito dallo spettro della galera, Del Re si presenta a Italo Balbo (lontano parente della madre), gli confessa l’ammanco, ma gli propone di denunciare i militanti e i progetti d’azione di G.L. nel 1930, a patto che la polizia ripiani con pubblico denaro il buco da lui aperto nelle curatele. Si offre altresì come agente provocatore presso gli esponenti antifascisti a Parigi e Lugano. Balbo accompagna il traditore da Bocchini, il quale, avuta l’approvazione scritta di Mussolini, accetta lo scambio.

Le curatele vengono affidate al fratello di Balbo, Edmondo, e lo spione parte per la Svizzera, la Francia e il Belgio tentando invano di coinvolgere, per screditarli, elementi della massoneria e il conte Sforza. Tornato allora in Italia, collabora a Bergamo con Ernesto Rossi e col chimico Umberto Ceva alla preparazione di bottiglie al fosforo liquido con le quali incendiare alcune Intendenze di Finanza in occasione del 28 ottobre, come protesta contro l’eccessiva pressione fiscale fascista.

Ceva (preoccupato che gli ordigni possano cagionare vittime, anche usati con ogni precauzione e di notte quando gli uffici sono deserti) rende inutilizzabili le bottiglie versandovi fosforo in eccesso. Perciò tutto il materiale viene gettato nel Brembo, nonostante che il Del Re insista per ritentare, perché vorrebbe far prendere i compagni con le mani nel sacco: la sua delazione acquisterebbe il massimo valore.

Sfumata la possibilità degli attentati incendiari e prima che si realizzi il progettato volo su Roma dell’aereo di Giordano Viezzoli, il 30 ottobre del ’30 la polizia arresta tutte le persone denunciate dal traditore (25), spicca ordine di cattura contro il "latitante" (!) Del Re e 9 esuli (Cianca, Facchinetti, Lussu, Pacciardi, Carlo Rosselli, Salvemini, Tarchiani, Giuliano e Romano Viezzoli).

Del Re espatria di nuovo il 1° novembre sia per verificare la reazione degli esuli a Lugano (Pacciardi) e a Parigi (Facchinetti, Lussu, Rosselli, Fausto Nitti), sia per tentare di distogliere da sé i sospetti; ma a Parigi viene immediatamente individuato da Lussu e Rosselli quale spia e provocatore, e come tale additato al disprezzo degli antifascisti in Italia e nel mondo.

Rimpatriato, Del Re confessa d’essere ormai bruciato. Agitatissimo, supplica di lasciare immediatamente l’Italia per sottrarsi a possibili vendette. Ottenuti dalla polizia un corposo compenso e passaporti con nuove identità per sé e la moglie (cui fa credere di dover fuggire per evitare la gran retata) s’imbarca con lei per l’Argentina, previa intesa di versamenti mensili e la promessa di congrua liquidazione da parte della polizia quando ricomparirà al processo contro G.L. come testimone d’accusa.

Il 4 novembre Ernesto Rossi fugge dal treno mentre è tradotto sotto scorta a Roma, e dopo aver girovagato poco vestito sotto il diluvio per un’intera nottata fra Viareggio e Torre del Lago, si riconsegna sfinito ai marinai del Balipendio. Un giornale pubblica il resoconto della sua fuga, allarmando i giellisti ancora ignari della retata, i quali subito fanno sparire le carte compromettenti.

Infatti, fino al 3 novembre, la grande operazione era rimasta segretissima: solo allora un comunicato, redatto personalmente da Mussolini, informò che "la sezione speciale dell’OVRA (questo nome appariva per la prima volta) aveva scoperto l’organizzazione clandestina che ordiva delitti contro il regime".

La pressione dell’ispettore di P.S. Nudi su Umberto Ceva, volta a fargli credere che alcuni suoi compagni di cospirazione fossero autori dell’attentato del ’28 alla Fiera Campionaria, da cui era derivata una strage, indusse il chimico ad un raccapricciante suicidio. Toccanti, in questa edizione, le lettere del suicida alla moglie Elena e al Nudi.

Intanto, all’estero, alimentata da Salvemini, veniva scatenata una campagna stampa per evitare che gli imputati finissero davanti al plotone di esecuzione, come minacciava Mussolini. Gli imputati dei due successivi processi se la cavarono con complessivi 93 anni di reclusione: le condanne più gravi, 20 anni ciascuno, furono comminate a Rossi e Bauer.

Ma praticamente d’ora in poi Del Re costituirà per la polizia soltanto un costosissimo ed inutile fardello. Infatti il confidente "444", denunciato con titoli di scatola dalla stampa italiana d’Argentina, che chiedeva aiuto per scovare la spia pubblicandone la foto e gli elementi segnaletici, nel febbraio ’31, morendo di paura, supplicò Bocchini di farlo rimpatriare, munirlo di nuove identità e mezzi economici, e porlo sotto tutela della polizia. Abbandonato dalla moglie, che aveva ormai scoperto la sua ignominia, il miserabile vergherà una miriade di lettere e memoriali per la polizia, assillandola _ perfino mediante un finto suicidio _ con richieste di riabilitazione civile, ma soprattutto di denaro. Ottenne uno pseudo-processo, con tanto di arresto seguito da immediata assoluzione, ma ormai Bocchini era convinto che il nostro mirava soltanto a spillar quattrini "per vivere quanto più agevolmente possibile, senza lavorare".

Assegnato per 4 mesi al confino dorato delle Tremiti, ove godette di una provvigione mensile di 2000 lire, tornò poi ad Udine, disprezzato dall’ambiente (e perfino dal fratello) a tal punto da trovare impossibile la vita. Non poté essere riammesso nell’albo forense, perché era un appestato anche per i fascisti: tuttavia, le pressioni di Bocchini e di Starace gli procacciarono la reiscrizione all’albo dei procuratori. Nel ’32 partecipò senza successo a un concorso per procuratore legale in Libia. Nel ’33 si trasferì a Lugano per divorziare, e nel ’35 di nuovo per risposarsi. Riammesso nel partito fascista, partecipò in Spagna, con l’agente OVRA Santorre Vezzari e col fratello della Petacci, ad oscure lucrose speculazioni sulla valuta e sui beni ebraici.

Morto nell’ottobre ’38 Di Stefano, il nuovo capo della polizia politica, Guido Leto, sfoltì i ranghi dei confidenti, e Del Re perse il mensile di 2000 lire; azzardò allora una mossa temeraria per mantenerlo: si autodenunciò per l’appropriazione indebita commessa nel ’30, da un lato giocando sulle amnistie e sulla prescrizione, dall’altro evocando le altissime responsabilità di esponenti governativi, e dello stesso Mussolini, nell’occultamento di quel reato. Era troppo. L’autodenuncia fu postillata da Bocchini con la frase: "Farlo arrestare e mandarlo al confino".

Nel novembre ’40 egli fu assegnato al confino per 5 anni "quale elemento turbolento e pericoloso per l’ordine pubblico". Al suo arrivo a Ventotene, vi si trovavano, dopo anni di galera, anche Bauer, Calace e Rossi. Bauer cacciò Del Re in malo modo e divulgò fra i confinati la notizia di quella presenza. Di nuovo terrorizzato, Del Re ottenne il trasferimento alle Tremiti, dove peraltro trovò un’altra sua vittima: Raffaele Cantoni, il massone da lui denunziato nel ’30.

Morto anche Bocchini, e succedutogli Carmine Senise, questi restituì la libertà allo spione, il quale riprese i suoi traffici con la Spagna e la sua attività contro gli ebrei, collocandosi in prima linea nella lotta per l’eliminazione dall’Italia dei "soggetti di stirpe inferiore".

Nel ’43 avuto (non si sa come) sentore della preparazione del colpo di Stato monarchico-badogliano per la rimozione del duce, si pose anima e corpo al servizio dei nazisti. Nascostosi in Spagna durante l’interludio badogliano, tornò a nuova vita in Italia con l’occupazione germanica e si pose alle dipendenze del tenente colonnello Kappler a Verona: mangiava presso il comando delle SS, non usciva mai solo, ma sempre accompagnato da due tedeschi.

Finita la guerra, scappò di nuovo in Spagna e vi rimase fino al ’51. Visse poi a Verona fino al febbraio del ’54, quindi a Roma, dove chiese la riammissione all’albo degli avvocati.

Il volume Una spia del regime di Rossi e 1930 Retroscena di un dramma di Bianca Ceva, catapultarono Del Re "sulle prime pagine dei giornali quale emblema di ciò che di più sporco il regime mussoliniano aveva prodotto". Del Re querelò il fior fiore dell’editoria, del giornalismo, della cultura. Il caso giunse in Parlamento, attraverso numerose interrogazioni di deputati sulla riammissione nell’albo di una spia, bollata come tale nell’elenco ufficiale dei confidenti dell’OVRA.

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma cancellò nel marzo ’56 il Del Re dall’albo, ma la Cassazione lo riammise all’esercizio della professione. "La controffensiva giudiziaria _ scrive Franzinelli _ si concretizzò in una lunga catena di denunzie, di ricorsi e di reclami. Ernesto Rossi, Manlio Magini e alcuni altri commentatori, editori e direttori di testate giornalistiche si trovarono costretti a un defatigante gioco di difesa, con relative spese di tempo e di denaro".

Tutti i denunciati vennero assolti per aver dato la prova dei fatti, in massima parte costituita da documenti autografi dello stesso querelante, che finora se l’era cavata, sia in tribunale, sia in appello pagando le spese e in rari casi i danni ai querelati. Anche io affrontai senza difficoltà, con l’editrice Nuova Italia, il tribunale e l’appello a Firenze. Intervenuta un’amnistia, avrei potuto evitare il tribunale di Torino con l’editore Einaudi. Volli, invece, andare fino in fondo e rinunciare all’amnistia, nonostante che il querelante non concedesse la facoltà di prova. Ciò era pericoloso, perché restava valida la norma del codice Rocco, secondo cui non si può scrivere di un ladro ch’è un ladro, se non si è in grado di provarlo: e, ripeto, la facoltà di prova mi era negata da Del Re. Ma il tribunale di Torino, con sentenza rivoluzionaria, sentenziò "il mio diritto di fare storia", assolse Einaudi e me, stabilì a nostro favore e a carico di Del Re l’indennizzo di un milione di lire per aver mosso lite temeraria. In appello i reclami furono respinti, anzi crebbe di 100.000 lire l’importo dell’indennizzo. Il condannato rifiutò ogni pagamento ed Einaudi se ne disinteressò: ma io ricorsi all’esecuzione forzata sui mobili dello studio di Del Re per costringerlo a chiuder bottega. Dopo un paio d’anni, nell’aprile del ’65, riuscii ad ottenere il ricavato: 159.127 lire, che girai al "Movimento Gaetano Salvemini", il quale, detratte le spese vive sostenute per la difesa legale, incamerò 31.327 lire.

Ferruccio Parri e Rossi mi ringraziarono a nome del Movimento, scrivendo che quella minima somma aveva per loro un particolare significato, perché era l’unica volta in cui qualcuno era riuscito a far sborsare a Del Re una piccola parte di quanto avrebbe dovuto pagare alle parti danneggiate dalle cause temerarie.

Rossi morì il 9 febbraio del ’67, mentre continuava contro di lui la persecuzione giudiziaria di Del Re, sostenuto dall’ex guardasigilli di Salò, dal cardinale Ottaviani e da vari ambienti clericali e fascisti.

Lo spione spirò nel giugno ’78: nessun necrologio ne salutò la dipartita.