QUADERNI della F.I.A.P. n.17 Resoconto delle attività svolte dal Governo Militare Alleato e dalla Commissione Alleata di Controllo in Italia Presentazione di Lamberto Mercuri | © I Quaderni della FIAP
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Quaderni della FIAP, n.17
Resoconto delle attività svolte dal Governo Militare Alleato
e dalla Commissione Alleata di Controllo in Italia Presentazione di Lamberto Mercuri
La riproposta di un opuscolo che appartiene ad un tempo storico eccezionale, così diverso da quello che ci è dinanzi, merita qualche parola, non solo occasionale, per spiegare ai lettori perché questa problematica entra a far parte della nuova collana dei «Quaderni della F.I.A.P.» ma anche per un tentativo di riflessione storiografica intorno al triennio 1943-1945, per quel che riguarda gli aspetti politici ed amministrativi dell’occupazione anglo-americana del territorio italiano e l’influenza che quegli avvenimenti hanno avuto sul futuro dell’Italia.
Uno dei maggiori teorici del campo, M.A. Linebarger, autore de «L’arma psicologica», Washington, 1948, aveva definito chiaramente il problema: «L’arma psicologica comprende l’uso della propaganda contro il nemico, insieme con talune misure operative di natura militare, economica e politica così come può esser richiesto per integrare tale propaganda».
Anche la teorizzazione della guerra da parte statunitense, una volta presa la decisione d’intervenire nel conflitto armato, fu incentrata su di una sorta di parola d’ordine «una lotta per la democrazia». Nel disegno della propaganda, naturalmente, un certo risalto fu dato ai fattori culturali collegati con la civiltà italiana (si veda per tutte il messaggio dei massimi responsabili della politica alleata del 16 luglio 1943 indirizzato al popolo italiano allorché essi parlarono di «antiche tradizioni di libertà e di cultura dell’Italia, tradizioni alle quali i popoli d’America e di Gran Bretagna tanto devono»).
Nel quadro generale dell’offensiva propagandistica, va considerato inoltre l’autorevole apporto del Presidente statunitense, animato da sentimenti non ostili al popolo italiano (in lui però v’era un calcolo di natura anche elettorale in quanto la comunità italo-americana, chiassosa e attiva, si sarebbe opposta ad un severo trattamento dell’Italia nel Trattato di pace) che andava moltiplicando le sue dichiarazioni sull'Italia che facevano sperare per il meglio. Tanto più, così aveva osservato il Salvemini, in tempo di guerra le «parole sono armi».
Più in generale, si era fatta sempre più evidente la necessità di ancorare ad argomenti più solidi le ragioni della guerra, una guerra che - tra il resto - avrebbe significato definitivamente la fine dell’isolazionismo nell'opinione pubblica non solo statunitense; occorreva agitare principi meno astratti e non soltanto morali, (vedi per tutte la Carta Atlantica che, per un certo periodo, aveva costituito, per alcuni versi, lo scopo per cui gli Stati Uniti erano entrati in guerra). A Roosevelt, «non faceva impressione il futuro - è stato osservato - nel quale anzi aveva fede; e una profonda fede l’aveva anche in se stesso insieme con una ferma determinazione ad infrangere una concezione della forza come soluzione per dirimere i problemi del mondo. Egli era sicuro che sarebbe riuscito ad imporre il suo potere politico e intimamente democratico a tutti i problemi che sarebbero seguiti al cessate il fuoco».3 Anche i collaboratori del Presidente sono concordi nel testimoniare che il suo lavoro non era affatto organizzato; al contrario, Roosevelt governava in modo estremamente personale «E ciò - così ha osservato I. Berlin - facendo mandò fuori dei gangheri i fautori della correttezza costituzionale, ma è lecito dubitare che avrebbe mai potuto realizzare i propri scopi in altro modo».4 E l’opinione pubblica statunitense, anche per suo mezzo, era disposta ad operare una distinzione tra il regime fascista e il popolo italiano e a prendere le distanze dall’atteggiamento britannico. Di qui la certezza del Presidente che gli americani sarebbero stati privilegiati rispetto agli inglesi dalle popolazioni italiane. Più in particolare, l’opinione pubblica statunitense era sensibile al fatto che la guerra si vincesse il più rapidamente possibile con il minor numero di perdite umane. Questa forse la preoccupazione più importante. La sistemazione dei problemi politici e territoriali creati con il fatto bellico, (e in questo v’era completa identità di vedute tra il Presidente, l’opinione pubblica e i capi militari degli Stati Uniti) avrebbero atteso un momento successivo.
È vero che gli anglo-americani avevano affrontato la campagna d’Italia seguendo un modello costante di guerra «assoluta» ma il largo margine concesso dai capi militari alleati alla propaganda psicologica, era volto ad un modello di attività strategica in appoggio concreto a quella bellica. Uno scorcio ai temi e agli aspetti dissuasivi evidenzia che largo spazio era concesso al fattore «fascismo» e alla conseguente «defascistizzazione», alla crociata contro il fascismo (anche il volume di memorie del gen. Eisenhower ha questo prevalente carattere), alla «diffusione della democrazia», alla volontà di «ingigantire il progresso», all'allargamento del «mercato economico», alla missione di civiltà, all'insegna degli antichi padri, l’avversione quasi istintiva per il comunismo.
Principi e valori, come si vede, di una certa consistenza (ma anche di una certa «astrattezza») e tutti mescolati e filtrati attraverso mani sapienti per una azione prevalentemente persuasiva.
Perché, come è stato acutamente osservato: «Una relazione politica dissuasiva può esistere soltanto nel caso in cui sussista la possibilità di una qualche forma di scambio. L’equilibrio è una condizione di esistenza in mancanza della quale, non dandosi la possibilità di danneggiarsi reciprocamente, si avrà direttamente una situazione di imposizione, o almeno di intimidazione».5
Se ne occupava il PWB (Psychological Warfare Branch) o «branca della guerra psicologica», un ente composto da civili e militari britannici e americani, responsabile per la propaganda per l’intero teatro operativo del Mediterraneo e alle dipendenze dirette del Comandante supremo alleato; un ente articolato in divisioni tra i cui compiti più importanti figuravano la redazione e la stampa dei giornali, manifesti, volantini, pubblicazioni di ogni tipo e le trasmissioni radiofoniche. A questo ente psicologico fu impressa una forte americanizzazione, o così apparve anche negli aspetti esteriori dell’intera macchina propagandistica soprattutto nei confronti dell’Italia. In questo ordine di idee, come si accennava, erano stati presi in considerazione gli aspetti emotivi e delle passioni caratteriali degli italiani. E così i discorsi prevalentemente dissuasivi, (un crescendo di motivi, nonostante le apparenze, si fece via via più netto) miravano dai primi proclami o messaggi delle più significative personalità, politiche e militari, del campo degli alleati volti a ricercare il semplice appoggio alle operazioni militari alleate anziché consentire la ricostruzione di un vero e proprio esercito italiano. E così per tutto il periodo della lunga permanenza sul territorio italiano dei vincitori anglo-americani per quel che riguardava la nascita o la rinascita dei partiti politici e, più in generale, i fermenti realmente rinnovatori l’azione alleata era sostanzialmente di freno guidata come era da diffidenza e talvolta da incomprensione. Non è, in sostanza, possibile fare concessioni all'Italia - questo il pensiero dominante dei vincitori, e ha poca importanza adesso valutare la forma della comunicazione - perché la situazione è precaria da qualunque punto di vista e ogni tentennamento o deroga a quanto stabilito dallo strumento armistiziale potrebbe mutare quelle condizioni. Questo spiega tra l’altro, la sorte della «cobelligeranza», concessa ma che non muterà di molto la situazione. Sono note le espressioni di Churchill in argomento, indubbiamente significative, per esser riprese adesso in appoggio al nostro discorso.
In realtà, già dal finire del 1942, con lo sbarco delle truppe statunitensi nell'Africa Settentrionale Francese avvenuto con una forte dovizia di materiale e di mezzi, la propaganda statunitense aveva colpito la fantasia e il cuore degli europei. Nel vecchio Continente, dominato dall'occupazione germanica e la disperazione esistenziale che vi regnava, la suggestione esercitata dallo sbarco americano e soprattutto il segno della loro potenza militare (che non aveva confronti con quella del primo conflitto mondiale), abilmente accoppiata all'altra immagine, quella che voleva gli americani come «i liberatori», era un dato di fatto inconvertibile. Un’immagine che accompagnerà puntualmente le truppe statunitensi vincitrici dalle spiagge della Tunisia al cuore dell’Europa. Tutto fu volto in funzione di una totalità. Non paia avventato ma fu la campagna dell’Africa settentrionale, voluta e fortemente perseguita dal Presidente Roosevelt, a cambiare le sorti di una strategia mondiale. Un’impresa volta ad una decisiva presenza degli americani nel Mediterraneo e in Europa e a scalzare, con abile gradualità, i «cugini» britannici dalle loro vecchie posizioni.6 Anche nelle memorie del primo ministro Churchill v’è precisa traccia di questo disegno. Disegno che avrebbe dato, nel giro di pochi anni: frutti decisivi agli Stati Uniti, in una Europa devastata e da ricostruire.
Nello stesso tempo non mancava in Roosevelt la volontà di incoraggiare la speranza degli internazionalisti perché non venissero ripetuti gli errori del passato, quelli della prima guerra mondiale. Per questi motivi, egli lavorava incessantemente - come si accennava - per l’organismo internazionale del dopoguerra, l’organizzazione delle Nazioni Unite che avrebbe posto rimedio ai fallimenti della Lega delle Nazioni.
Non rientra nel nostro quadro cronologico (l’opuscolo ha una visione d’insieme - sia pure nei limiti accennati - della vita anche politica italiana fino al termine dell’amministrazione militare e civile alleata) il dopoguerra, ma non sarà disutile aggiungere che l’Italia aveva costituito per gli Alleati e, per gli statunitensi in particolare, il banco di prova dei vari principi, teorie e valori e della loro applicabilità. A contatto con la realtà italiana, le linee direttrici non solo di politica estera ma più in generale quella di politica contingente o quotidiana, se si vuole, subirono modifiche continue, talvolta non furono messe in essere o addirittura violate. È utile anche ricordare che lo status dell’Italia non mutò fino al 1947, quando fu firmato il trattato di pace. Con questa firma terminava per l’Italia il lungo periodo armistiziale (firmato a Cassibile il 3 settembre e «perfezionato» a Malta il 29 settembre 1943). Il cambiamento dello schieramento internazionale e la fine di ogni autonomia in politica estera erano avvenuti con la resa senza condizione. Un’autonomia, sia pure con segno opposto, che l’Italia aveva già sostanzialmente perduto nell'alleanza con Hitler. Alle forze politiche italiane era mancata sostanzialmente la libertà e la capacità di determinare il risultato della loro lotta. I vincitori, dal punto di vista del sistema politico italiano, avevano preferito o comunque favorito la restaurazione sostanziale del regime prefascista.
Ha osservato Norberto Bobbio: «nei paesi in cui era avvenuta la liberazione con l’aiuto e sotto la protezione degli eserciti inglesi e americano, era crollata con la caduta del fascismo la sovrastruttura politica del regime (solo in parte quella giuridica e amministrativa), ma non solo erano stati modificati i rapporti di classe che quella sovrastruttura aveva contribuito a conservare”.7
E le forze politiche italiane, fecero quel che poterono per aggiornare il quadro secondo il portato dei tempi. Attraverso la guerra di liberazione nazionale, quelle forze riuscirono a strappare qualche miglioramento a quella prospettiva che sembrava senza via d’uscita. Per una migliore intelligenza di quanta abbiamo cercato di dimostrare, non sarà disutile riportare due autorevoli punti di vista del mondo anglo-americano. Winston Churchill, il cui atteggiamento sostanzialmente coerente, e qui riassunto con le sue stesse parole: «… mediante l’azione contro il nemico comune, il governo, l’esercito e il popolo italiano potrebbero, senza negoziati, facilitare rapporti più amichevoli con le Nazioni Unite» e quello di John Kennedy di alcuni lustri dopo: «Non domandate quel che gli Alleati fecero per l’Italia piuttosto ciò che l’Italia fece per la causa degli alleati».
LAMBERTO MERCURI
INTRODUZIONE
Il 10 luglio 1943, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna iniziarono un grande esperimento di governo militare, partendo da presupposti democratici. Quando cominciò a sgretolarsi la fortezza europea, funzionari civili alleati vennero fatti sbarcare insieme con le armate sulle coste della Sicilia.
Esattamente quattro mesi più tardi, il Generale Dwight D. Eisenhower, allora comandante in capo delle forze alleate nel Mediterraneo, installava la Commissione Alleata di Controllo (poi Commissione Alleata) per fare rispettare le condizioni dell’armistizio alla nazione italiana militarmente battuta, politicamente a terra e rimasta con appena una parvenza di governo.
I funzionari del Governo Militare che arrivarono in Sicilia componevano degli organismi militari. Anche la Commissione di Controllo Alleata, installata dal generale Eisenhower, era un organismo militare, e così è ora la Commissione Alleata. Essa fa parte delle forze armate del Mediterraneo operanti sotto la sorveglianza diretta del Quartier Generale Alleato e segue le direttive dello Stato Maggiore di Washington.
I compiti della Commissione Alleata sono cinque: 1°) organizzare le operazioni del Governo Militare con la 5ª e l’8ª armata in appoggio diretto alle truppe di combattimento; 2°) prestare tutto il possibile aiuto immediato alla popolazione civile alle spalle delle armate, in modo da evitare epidemie e alleviare il disagio; 3°) preparare l’amministrazione governativa e l’organizzazione economica per restituirle agli italiani al più presto possibile; 4°) sovraintendere alla esecuzione dei termini dell’armistizio; 5°) fungere da rappresentante delle Nazioni Unite presso il governo italiano.
Queste prime tre fasi si svolgono sotto la direzione della Commissione Alleata (AC). La prima fase, o fase degli AMG dell’esercito, è affidata operativamente ai combattenti di armata. I funzionari degli AMG agiscono principalmente per ragioni tattiche più che amministrative. Nelle zone del fronte, i comandanti di armata hanno naturalmente il comando diretto su tutto ciò che riguarda l’attività militare, nell'ambito dell’armata. Ma il controllo tecnico e la direzione degli affari civili, le nomine e l’organizzazione del personale civile degli AMG sono di competenza della Commissione Alleata, che si regola in base alle esigenze militari.
La seconda e terza fase sono disimpegnate dagli uffici regionali che dipendono dalla Commissione Alleata; cessa cioè il controllo tattico dell’armata.
Le tre fasi sono progressive, ma la continuità è mantenuta dal principio alla fine. Gli stessi scopi vengono perseguiti da diversi enti, in stadi successivi, però restano sempre sotto una unica guida generale. Inoltre, per facilitare una politica uniforme e una intesa reciproca tra le truppe operanti e il Quartier Generale, c’è un continuo scambio di funzionari tra gli AMG dell’esercito, le amministrazioni regionali e il Quartier Generale della Commissione Alleata.
Questa rassegna può cominciare con la descrizione delle caratteristiche particolari del Governo Militare nelle prime giornate siciliane. Lo sbarco avvenne in una parte d’Italia ben nota per la sua apatia politica. I siciliani erano inoltre stanchi a causa dei continui attacchi aerei e disgustati dai disagi della guerra e da un ventennio di burocrazia fascista. Per queste ragioni negative, quanto per quella positiva di veder realizzato il suo sogno, e cioè un’invasione di liberatori generosi e ricchi, la popolazione accolse gli alleati con gioia. Dal lato militare l’invasione ebbe un pieno successo; correvano insistenti voci sul disfacimento dello stato italiano e venne quindi ritenuto sicuro che, per quanto concerneva l’Italia, la guerra sarebbe presto finita e i tedeschi ricacciati oltre le Alpi. Dal punto di vista operativo, la fase siciliana fu diversa da quelle susseguenti, in quanto gli italiani erano ancora ufficialmente nemici e le forze alleate, un’armata di occupazione; la popolazione perciò doveva essere considerata come ostile; sebbene trattata, naturalmente, con umanità non fu tenuto gran conto delle sue tendenze politiche. Fu un Governo Militare puro e semplice, i cui piani erano stati prestabiliti da molto tempo.
Il Maresciallo Sir Harold R.L.G. Alexander (allora generale), fu nominato Governatore Militare, ed il Maggior Generale Lord Rennel of Rodd diventò capo degli affari civili e dell’AMG. Il Maggior Generale statunitense Frank J. McSherry (allora Brigadiere Generale) fu nominato suo aiuto, e quale capo di Stato Maggiore fu designato il Brigadiere Generale Charles M. Spofford (allora Tenente Colonnello).
Il «giorno D», partiti dalla Tunisia, i funzionari civili sbarcarono sulle coste della Sicilia. Il Colonnello Charles Poletti (allora Tenente Colonnello) era a capo dell’amministrazione civile della 7ª armata. Egli aveva con sé circa 50 ufficiali; il primo sbarcò insieme con le truppe. Il Commodoro C.E. Benson (allora Capitano di Gruppo), capo dell’amministrazione civile dell’8ª armata, sbarcò anch’esso coi suoi uomini, nelle vicinanze di Catania. IL PRIMO RAPPORTO
Il primo rapporto di Lord Rennel al Generale Alexander, reggeva ancora dopo parecchi mesi di Governo Militare in Italia. Egli faceva notare la scarsità del personale e la difficoltà di mantenere i funzionari in cariche fisse, dato il rapido cambiamento della situazione. Il problema dei viveri e quello della Sicurezza Pubblica, erano enormi.
Durante il periodo Palermo-Brindisi, l’organizzazione dell’AMG dovette compiere un grande sforzo. La situazione politica creata dall’armistizio e la possibile co-belligeranza, fecero svanire il programma delineato dall’AMGOT. Il nuovo status italiano, rendeva infatti necessario un cambiamento completo dei piani alleati.
Il compito della missione consisteva nel «trasmettere le istruzioni militari del Comandante in Capo al governo italiano; raccogliere e trasmettere le informazioni del servizio segreto ed organizzare, per quanto possibile, una azione coordinata delle forze armate e del popolo italiano contro i tedeschi». Gli alleati avevano la flotta italiana a loro disposizione, la stazione radio di Bari era intatta: sotto tutti gli altri aspetti, la situazione non apparve affatto promettente. Le divisioni italiane disponibili (tre nel sud e quattro in Sardegna) erano male equipaggiate ed il loro mantenimento costituiva un problema preoccupante. ANTECEDENTI
La futura Commissione Alleata trovò la sua origine nella missione militare alleata; fu in parte il logico sviluppo dell’AMGOT ed in parte il risultato dei piani speciali studiati per far fronte ad una situazione politica insolita. La missione militare continuò i suoi sforzi per ottenere un reale contributo alla guerra da parte delle forze armate italiane, ed ottenne un successo considerevole nel campo della marina e dell’aeronautica. Inoltre, fu considerato necessario nominare degli esperti in altri campi. Questi, che possono essere considerati come precursori delle sotto-commissioni della ACC, erano rappresentanti di sezioni speciali: Legge, Servizio Segreto, Viveri, Lavoro, Profughi, Industria e Commercio, Salute Pubblica e Finanza. PROGETTI SPECIALI
La formazione dell’ACC tuttavia, derivò da piani speciali oltre che dai cambiamenti amministrativi. L’armistizio militare riservava agli alleati il diritto di esercitare un controllo amministrativo sul governo italiano e nei «termini lunghi» era specificata la nomina di una «Commissione di Controllo» per regolare e mettere in atto le clausole amministrative dell’armistizio. LE FUNZIONI
Le funzioni della Commissione di Controllo Alleata furono definite nel modo seguente:
Su questa base, fu organizzata il 2 novembre, la Commissione di Controllo Alleata, che iniziò effettivamente la sua attività il 10 dello stesso mese. Il Comandante in Capo della zona fu nominato presidente ex-officio; il Generale Joyce assunse il titolo di Vice Presidente in carica. Questa nuova organizzazione comprese un quartier generale nazionale ed uffici regionali e provinciali. Il capo di ogni sezione assunse il titolo di Vice Presidente. Il 6 novembre il Generale Joyce arrivò a Brindisi. Aveva così alcuni giorni a sua disposizione per rendersi conto, in seguito alle spiegazioni del Generale MacFarlane, delle difficoltà politiche inerenti al suo nuovo posto. IV NAPOLI E LA CO-BELLIGERANZA
Le settimane di riordinamento politico e amministrativo a Brindisi, furono cariche di lavoro per i funzionari civili. L’AMG dell’8ª armata, nella sua fulminea traversata della Calabria, dovette presto accorgersi dell’impossibilità di fermarsi abbastanza a lungo nei diversi comuni per stabilirvi un governo. Fu provato l’esperimento di lasciarvi dei funzionari e questo primo gruppo sperimentale diventò il nucleo della futura II Regione. I problemi da affrontare erano più o meno gli stessi che in Sicilia; ma quello dei profughi, che più tardi diventò così complesso, apparve per la prima volta a Cosenza. L’AMG della 5ª armata, nel frattempo, passava un periodo tempestoso a Salerno. Doveva amministrare la città mentre dalle colline sovrastanti, il nemico sparava di continuo. TEMPI DURI
L’autunno e l’inverno successivo non furono facili per la città di Napoli. A parte lo sconvolgimento della vita normale, c’erano gli attacchi aerei e il freddo. Sembrò anche, in alcuni periodi, che la città dovesse patire la fame; fortunatamente, le misure energiche e tempestive riuscirono a salvarla. Tuttavia, in certi strati della popolazione, la denutrizione si fece sentire assai, il mercato nero imperversò, dato il grande afflusso di derrate nel porto, e assunse proporzioni ingenti. GLI SFOLLATI
Napoli era anche piena di sfollati. Il problema stava diventando acuto in tutta l’Italia liberata. La gente senza casa, misera e spaventata, si aggirava per le campagne, a piedi o coi mezzi di fortuna che riusciva a procurarsi. Il rapporto dell’AMG dell’8ª armata dimostra che l’afflusso dal sud era aumentato da 100 a 550 persone al giorno durante il mese di novembre. Durante lo stesso mese, i funzionari civili dell’8ª armata raccolsero circa 30.000 sfollati; nelle province occidentali il movimento, molto minore, non era praticamente controllato. LA SICILIA
L’esperienza dell’AMG in Sicilia fu preziosa per l’avvenire. L’isola cominciava gradualmente a tornare alla normalità. Il servizio postale interprovinciale fu ripreso il 17 settembre; la pesca ricominciò su tutta la costa, sia pure con restrizioni. Il razionamento, dal 1° novembre fu limitato al pane, alla pasta, alla farina, allo zucchero ed all’olio. Durante l’autunno, l’isola iniziò le prime esportazioni 3.214 tonnellate di agrumi alla Gran Bretagna. In cambio, carichi di carbone arrivarono dall’Inghilterra per un ammontare di 75.000 tonnellate (al 1° gennaio). Furono stabiliti dei «Consigli per le Risorse Locali» in vista di una equa distribuzione all’esercito e ai civili. Un lavoro importante fu svolto da alcune divisioni dell’AMG che più tardi dovevano fondersi colle Sotto-commissioni dell’ACC. Lord Rennel, in principio d’autunno, trovò utile tenere delle riunioni di capi-divisione per delineare la politica da seguire. LE BELLE ARTI
Il compito della Sotto-commissione dei Monumenti e delle Belle Arti si estendeva dai famosi templi greci al ricupero di documenti preziosi adoperati come carta da involgere o addirittura buttati nella spazzatura. Fortunatamente, le grandi chiese normanne, come quella di Monreale e di Cefalù e la squisita Cappella Palatina, erano intatte; ma il barocco, specialmente a Palermo, aveva subito gravi danni. Circa 250 chiese e palazzi furono riparati, e rinforzati, in cooperazione cogli italiani. Una somma di 20 milioni di lire fu stanziata per tale scopo. I funzionari delle Belle Arti - coll’approvazione del AFHQ - limitarono la requisizione dei fabbricati classificati come opere d’arte, stabilirono un’intesa colle forze aeree per evitare i bombardamenti di centri artistici, e infine prepararono una pianta dei «monumenti protetti» che venne distribuita a tutte le formazioni aeree.
Nel campo alleato, fu fatto un passo avanti per sviluppare la «libertà di stampa», uno degli obiettivi della Conferenza di Mosca; si istituì l’«Allied Publication Board». Questo organismo comprendeva rappresentanti dell’ACC, dell’AMG, del PWB e della censura militare alleata. Aveva il potere di accordare o negare il permesso di pubblicazione a giornali e riviste e di controllare la distribuzione delle notizie in Italia. Fu durante questo periodo che un osservatore russo venne aggiunto alla Commissione. FUSIONE
Il Generale MacFarlane fu nominato Presidente Aggiunto e Commissario Capo della Commissione di Controllo Alleata, nonché Capo degli Affari Civili, sotto al Generale Alexander, che restava Governatore Militare. L’Ammiraglio Stone fu nominato Commissario Capo Aggiunto; il Generale MacSherry fu chiamato in Inghilterra al Quartier Generale Supremo Alleato. Il Generale Spofford diventò Capo Sezione del Governo Militare, e il Brigadiere Maurice S. Lush, il quale aveva sostituito Lord Rennel quale Capo della Sezione AMG del 15° gruppo d’armata, prese il posto di Commissario Esecutivo alle dipendenze del Generale MacFarlane. ll Colonnello Norman A. Fiske fu più tardi nominato Commissario Esecutivo Aggiunto.
Furono create quattro sezioni: Politica, Economica, Amministrativa e di Controllo Regionale. Alle dipendenze della sezione Economica furono poste le seguenti Sotto-commissioni: Viveri (che si occupava del razionamento interno), Lavori e Servizi Pubblici, Trasporti, Naviglio, Industria e Commercio, Lavoro, Agricoltura, Finanza. La sezione Amministrativa comprendeva le seguenti Sotto-commissioni: Legale, Salute Pubblica, Interni, Sicurezza Pubblica, Monumenti, Belle Arti e Archivi, Controllo della Proprietà, Educazione. La sezione del Controllo Regionale s’incaricò dell’amministrazione generale e dei contatti diretti con gli AMG regionali e dell’esercito. Si occupava anche dei profughi e dispersi. C’era poi un certo numero di sotto-commissioni indipendenti: Esercito, Marina, Aviazione, Comunicazioni e Riserve di Materiale Bellico. ESTENSIONE DEI POTERI
L’autorità del nuovo comando si estendeva alle zone amministrate dall’AMG della 5ª e 8ª armata e alle seguenti regioni: (Reg. I) Sicilia, (Reg. II) Calabria e Lucania, e, dal punto di vista consultivo, Puglie, (Reg. III) Campania, (Reg. IV) Lazio-Umbria (di cui solo una piccolissima parte era in mani alleate), (Reg. V) Abruzzi-Marche e Sardegna. Quest’ultima era stata controllata da una missione alleata speciale, per poi passare sotto il controllo della Commissione il 31 gennaio. Il 22 gennaio 1944, gli alleati sbarcavano ad Anzio e i funzionari dell’AMG, come al solito, seguivano le truppe.
Questo rapido succedersi di avvenimenti ebbe fine colla tanto attesa consegna dell’Italia meridionale al governo di Badoglio e colla prima conferenza dei Commissari regionali dell’ACC. Il trasferimento fu annunciato il 10 febbraio 1944 dal Maresciallo Sir Henry Maitland Wilson (allora Generale e Comandante Supremo Alleato nel Mediterraneo) dietro approvazione del Consiglio Consultivo per l’Italia. La Sicilia, la Sardegna e il territorio italiano a sud delle province di Salerno, Potenza e Bari, passarono al governo italiano.
Nella primavera del 1944, la campagna italiana subì una sosta: ci fu solo lo sbarco di Anzio. Questa sosta determinò una diminuzione di attività nei gruppi avanzati dell’AMG e un maggiore interesse per la situazione politica. QUESTIONI POLITICHE
A metà febbraio, il Generale Mason MacFarlane aveva quasi completato il suo compito di fondere l’ACC e l’AMG in un unico organismo. Sembrò giunto il momento adatto di sviluppare le relazioni coll’amministrazione italiana. Tuttavia, una serie di violenti incidenti politici portarono alla creazione di un nuovo governo italiano, su basi più larghe, secondo i desideri espressi dalle Nazioni Unite alla Conferenza di Mosca. A Napoli, la Giunta di «opposizione» formata dai sei partiti, si era ribellata a certe dichiarazioni fatte dal Primo Ministro Churchill alla Camera dei Comuni, il 22 febbraio 1944. Churchill aveva detto che solo dopo la liberazione di Roma si sarebbe potuto formare un governo italiano più rappresentativo. Il 4 marzo, i partiti decisero di fare interrompere il lavoro per 10 minuti, in segno di protesta, riprendendo il tempo perduto con 15 minuti di lavoro straordinario alla fine della giornata. Lo «sciopero» non fu permesso, perché avrebbe intralciato lo sforzo bellico. Fu invece concessa l’autorizzazione a una riunione di massa che ebbe luogo il 12 marzo. Questo era d’accordo colla linea di condotta costante, dell’ACC: accordare la massima libertà politica purché non fosse di pregiudizio alla sicurezza militare. UN PROBLEMA SERIO
I profughi italiani - e non italiani - diventavano un problema sempre più serio. Una organizzazione separata per i profughi italiani era stata creata il 4 febbraio 1944. Il movimento dei profughi nelle zone dell’8ª armata si era ridotto ad appena 800 al mese, ma nel territorio della 5ª armata (in parte come conseguenza dello sbarco di Anzio) era salito a 14.000. Oltre ai due centri esistenti altri tre campi erano stati stabiliti nell’Italia occidentale e uno nell’Italia orientale, per una capacità totale di circa 15.000 persone. Il problema degli sfollati nel sud era stato risolto da comitati di assistenza insieme al governo italiano. Furono installate cucine economiche nei diversi centri, nei punti di passaggio e nelle stazioni ferroviarie. Alla fine di marzo, il numero totale dei profughi italiani si aggirava intorno ai 60.000. Durante quel mese, circa 14.000 sfollati erano passati tranquillamente dalle zone di battaglia attraverso i campi di smistamento, dove venivano lavati, nutriti ed alloggiati; dopo aver ricevuto le cure mediche e lasciato le loro generalità erano inviati nelle varie regioni dell’Italia meridionale e in Sicilia, per non gravare troppo sulle risorse dei comuni o delle città. SITUAZIONE ALIMENTARE CRITICA
La situazione viveri era, come al solito, critica. Si dovevano continuamente rivedere i progetti per il futuro, le importazioni restavano sempre sottoposte alle esigenze militari. Ai commissari regionali fu impartito l’ordine di far sì che gli italiani seminassero quanto più grano era possibile, in modo da limitare le importazioni al minimo. Bisognava servirsi del sistema italiano degli ammassi, anche se impopolare, perché era il solo efficiente. Il prezzo stabilito per ogni quintale di grano, in vista del rincaro della vita, doveva essere di 900 lire per quello tenero e di 1000 lire per quello duro. Il raccolto, insieme alle importazioni, doveva permettere di portare la razione base per l’Italia a 200 grammi di pane al giorno. L’ERUZIONE DEL VESUVIO
Un avvenimento sensazionale, che distolse l’attenzione dalla politica e sostituì perfino le notizie di guerra nelle prime pagine dei giornali, successe verso la metà di marzo: l’eruzione del Vesuvio il 18 marzo. Il cratere del vulcano era franato il 13 marzo. L’eruzione cominciò alle 16,30 del 18 e fu la più violenta da quarant’anni. Durante i sei giorni di attività, il Vesuvio emise 500.000 metri cubi di lava all’ora ed i torrenti di lava erano larghi quasi 50 metri, ed avevano una profondità di più di 10 metri. Persino gli aeroplani tedeschi sorvolarono il Vesuvio per vedere lo spettacolo. La lava infuocata scese per i dirupi a minacciare i villaggi annidati sulla montagna, ed il 20 di marzo cominciarono a crollare le case a San Sebastiano, Massa di Somma e Cercola. L’ESERCITO ITALIANO
Il contributo delle forze armate italiane allo sforzo bellico andava crescendo costantemente, sotto la guida delle tre sotto-commissione dell’ACC - Aviazione, Marine ed Esercito. La flotta italiana faceva servizio di scorta ai convogli e trasporto di truppe dall’Africa settentrionale a Napoli. Fu apprezzato il lavoro dei sommergibili italiani che, durante le operazioni nell’Egeo, portarono viveri e rifornimenti alle truppe, sempre sotto un intenso bombardamento. Gli aeroplani italiani da caccia, bombardamento e ricognizione, sotto la direzione alleata, avevano eseguito 3.000 voli di guerra e si prevedeva che sarebbero arrivati a 1.000 voli al mese, nonostante il materiale scadente.
Questo periodo terminò coll’offensiva alleata sferrata l’11 maggio 1944. L’8ª armata fu trasferita segretamente sul fronte di Cassino e i funzionari dell’AMG dell’8ª armata iniziarono il lavoro fra le rovine, il 18 maggio. La travolgente avanzata delle forze alleate lasciò dietro a sé città e villaggi devastati. Nella zona fra Cassino e il mare, intere zone erano inabitabili; ciò creò un nuovo problema per l’AMG. Gli sfollati, che si erano nascosti sulle colline, scesero a Fondi e a Terracina dopo la liberazione, aumentando così la popolazione normale del doppio e del triplo. Quasi 100.000 civili furono nutriti giornalmente nelle città distrutte. I funzionari della 5ª e dell’8ª armata, addetti al rifornimento, dovettero stabilire dei centri di rifornimento di prima linea, per seguire la rapida avanzata. C’era anche scarsità di medici.
Le truppe alleate entrarono a Roma il 4 giugno 1944. Nelle prime ore del mattino successivo, l’AMG della 5ª armata si installò nella capitale e mise i carabinieri alle dipendenze dei funzionari di pubblica sicurezza del Governo Militare. Costoro avevano assunto il controllo di tutta la città divisa in dieci distretti e ne informavano per radio il Quartier Generale, stabilito al Campidoglio.
Il 22 giugno, il generale MacFarlane, commissario capo, si ammalò e dovette tornare in Inghilterra per subire una grave operazione. Fu sostituito dall’ammiraglio Stone, capo commissario aggiunto, con il titolo di «capo commissario in carica». Una volta che l’amministrazione nazionale italiana fu di nuovo stabilita nella sua sede tradizionale, il consiglio consultivo per l’Italia approvò un secondo trasferimento di territorio al governo italiano (20 luglio), che comprendeva le province di Napoli (escluso il comune ed il porto di Napoli, che rimanevano zona militare alle dipendenze dell’AMG), di Avellino, di Benevento, di Foggia e di Campobasso. Un terzo trasferimento di territorio previsto per il 15 agosto, doveva comprendere le province di Roma (la capitale inclusa), Littoria e Frosinone.
In base a questo piano, ognuno dei sei partiti al governo aveva il diritto di pubblicare un giornale; due giornali erano permessi ai gruppi di opposizione (e cioè ai partiti non rappresentati nella coalizione), e due agli «indipendenti». In tutto, compresi l’«Osservatore Romano», organo del Vaticano, ed il «Corriere di Roma», stampato dal PWB, dodici quotidiani venivano pubblicati nella città. Il difficile compito di concedere i permessi per le nuove pubblicazioni nel territorio dipendente dal governo italiano, fu trasferito ad una commissione della stampa italiana. Da principio, l’APB si riservò il diritto di mettere il veto alle decisioni della commissione; in seguito diventò un semplice organo di controllo per ciò che riguardava gli interessi alleati.
È nota la procedura con cui i decreti italiani venivano pubblicati e resi esecutivi nei territori dell’AMG. Era una procedura che risparmiava la pubblicazione di duplicati, poiché le leggi dell’AMG e i decreti italiani - che entravano in vigore non appena il territorio veniva restituito alla giurisdizione del governo italiano – erano identici. Allo stesso tempo, questa procedura permetteva di introdurre un nuovo spirito giuridico nei disegni di legge italiani, senza tuttavia interrompere il compito della giustizia. La sotto-commissione doveva inoltre sorvegliare i processi per le violazioni ai decreti-legge alleati, in tutti i tribunali militari alleati, sommari, superiori e generali.
Anche la sotto-commissione per i profughi non italiani iniziò a Roma un importante capitolo della sua storia. Nel mese di giugno, dovette occuparsi di tutti i cittadini alleati bisognosi residenti nell’Italia liberata, 6000 dei quali si trovavano nella sola città di Roma.
Intanto, gli AMG dell’esercito avanzavano insieme alle truppe combattenti e dovevano far fronte a nuovi problemi. Quello dei partigiani, o patrioti, sorse poco dopo la conquista di Cassino. Diventò urgente con l’occupazione di Roma e la successiva avanzata attraverso la Toscana. Il primo rapporto completo in merito a questo, problema che doveva in seguito diventare «scottante» fu scritto il 13 luglio 1944 dal funzionario dell’AMG addetto alle 34ª divisione. Secondo la definizione dell’ACC - che organizzò un ufficio al suo Quartier Generale per occuparsi della questione - i patrioti sono sudditi italiani armati, «membri di genuine bande combattenti, che hanno partecipato ad atti di sabotaggio o fornito alle forze alleate importanti informazioni riguardanti il nemico».
Mentre i carri armati pesanti si aprivano una strada attraverso gli edifici in rovina sulle rive dell’Arno, i funzionari della sotto-commissione delle Belle Arti cercavano opere d’arte in mezzo alle macerie. Questi funzionari ebbero molto da fare perché nei dintorni della città vi erano 23 nascondigli che contenevano i tesori d’arte di Firenze, famosi nel mondo intero. Alcuni di questi preziosi cimeli erano stati asportati dai tedeschi per «proteggerli» - secondo quanto si può leggere in un ordine tedesco – «dagli antiquari ebrei americani».
Il 22 agosto la prima riunione dei commissari regionali dopo quella del maggio 1944, fu tenuta a Roma. Secondo l’Ammiraglio Stone era il momento adatto per riassumere il passato e guardare all’avvenire. L’ACC si stava trasformando: benché i suoi obiettivi fossero ancora sottoposti ai termini dell’armistizio, i funzionari civili cominciavano a sostituire i militari.
In mezzo a questi sviluppi internazionali, l’attenzione si fermò sui carabinieri italiani. La stampa italiana sosteneva che i carabinieri non erano riusciti a mantenere l’ordine e la legge, permettendo alla folla romana di linciare Donato Carvetta, testimonio ufficiale al processo di Pietro Caruso, ex questore di Roma (più tardi giustiziato). La sotto-commissione di sicurezza pubblica aveva cercato di ricostituire i RR.CC., come la principale autorità di polizia. Il numero dei carabinieri era stato originariamente fissato a 55.000; ma gli arruolamenti non avevano superato i 43.000. Per indurre più uomini ad arruolarsi ed ottenere elementi migliori, fu deciso di dare a tutta la polizia delle razioni uguali a quelle dell’esercito e di rivestirli colle uniformi dell’esercito (la polizia non aveva ricevuto vestiario per più di un anno). 5.000 truppe scelte furono trasferite nell’arma dei carabinieri, in modo da lasciar libero un ugual numero di uomini per il servizio al nord. Delle squadre mobili di carabinieri vennero inviate nelle zone delle armate per ristabilire l’ordine e fare applicare la legge in collaborazione cogli AMG della 5ª e dell’8ª armata.
Il 16 ottobre, sei nuove province passarono al governo italiano; fu il quarto trasferimento di territorio. Nove giorni più tardi, il 25 ottobre 1944, l’ACC ricevette l’ordine dalle autorità superiori di sopprimere il secondo «C» e diventò «Commissione Alleata». Al tempo stesso i Governi Alleati annunciarono uno scambio di rappresentanti diplomatici col governo italiano. L’arrivo di speciali rappresentanti del dipartimento di Stato americano e del Ministero degli Esteri inglese venuti per ottenere dalla CCA informazioni precise sulle più urgenti necessità dell’Italia, rappresenta una nuova prova delle buone intenzioni degli Alleati. Per la prima volta piani e programmi delle necessità italiane e dei possibili crediti alleati furono studiati, di comune accordo, dalla Sezione Economica dell’AC e da uno speciale Comitato interministeriale del governo italiano.
Da parecchio tempo la Commissione stava cercando di risolvere il compito di cancellare il «C» centrale dalla sigla ACC. Si trattava di trasferire sempre maggiori responsabilità al governo italiano. La via non era facile. In molte località, gli uffici statali non avevano l’attrezzatura necessaria per sostenere questo peso. La ricostruzione dell’amministrazione governativa, improvvisata dal maresciallo Badoglio a Brindisi, ricevette un impeto nuovo, quando il governo, trasferendosi a Roma, ritrovò gli archivi centrali ed un maggior numero d’impiegati esperti. Molti funzionari importanti, però, erano scappati coi fascisti ed altri dovevano essere epurati, il che ritardò nuovamente l’efficienza della nuova amministrazione. Ciò nonostante, alle sotto-commissioni dell’ACC venne ripetuto l’ordine di lasciare una maggiore indipendenza agli italiani. La sotto-commissione dei lavori e servizi pubblici, fece il primo passo in questo senso quando, in novembre, concesse al Genio Civile del ministero italiano dei lavori pubblici, l’autorizzazione di eseguire qualsiasi progetto di lavori non militari, senza previa approvazione.
L’inverno nelle zone avanzate, fu un periodo di stasi. Il fronte si estendeva da Ravenna sull’Adriatico, a Pisa sul Tirreno. Il funzionario delle belle arti, nel suo rapporto su Ravenna, liberata il 5 dicembre, diceva che i famosi mosaici bizantini avevano subito dei danni lievi ed erano stati immediatamente impermeabilizzati. Colle armate alleate ferme davanti alle difese montane della linea Gotica, gli AMG dell’esercito rivolsero sempre più la loro attenzione alla seconda fase delle operazioni, ossia alla stabilizzazione. L’Emilia, per esempio, sotto il comando della SCAO (AMG dell’8ª armata) si assunse l’amministrazione delle zone liberate nelle province di Ravenna e di Forlì.
Al quartier generale della Commissione, si cominciava a riprendere in considerazione il problema della ricostruzione economica. Gli AMG dell’esercito avevano tenuto in Siena parecchie riunioni coi funzionari delle regioni avanzate. Si erano anche riuniti settimanalmente i comitati interministeriali del governo italiano, colla sezione economica, per avviare il vasto lavoro di ricostruzione. Un «Consiglio delle priorità» fu istituito dall’AC per giudicare a chi, per primo, fra i numerosi richiedenti, dovevano essere distribuiti i rifornimenti e permesso lo sfruttamento delle risorse locali dipendenti dall’AC. La Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) tenne il suo primo congresso a Napoli il 29 gennaio 1945. La sotto-commissione del Lavoro, aiutò a radunare i delegati sparsi in varie parti dell’Italia liberata. Una missione speciale del U.S. Commercial Corporation (agenzia per l’economia di guerra) arrivò in Italia per esaminare le possibilità future di commercio e per offrire al governo italiano, tramite la Commissione Alleata, di acquistare una partita di merci che l’agenzia aveva accumulate in Turchia. A Roma, il 15 gennaio, il PWB cessò il servizio radiofonico e la diramazione delle notizie; e le agenzie alleate entrarono nella capitale per vendere direttamente ai giornali italiani, le notizie dall’estero.
Il nuovo programma lasciava alla Commissione l’incarico di assistere con consigli il governo italiano e di predisporre tutto quanto potesse servire nei territori ancora occupati. Essa doveva anche sorvegliare la sicurezza pubblica, agevolare trasporti e comunicazioni di vitale importanza per lo sforzo bellico. I diritti alleati, quali erano stati definiti nei termini dell’armistizio, non dovevano essere esercitati integralmente.
Le amministrazioni regionali erano fondate sulle stesse basi degli AMG, che avevano la missione di amministrare il territorio e di sbrogliare tutte le questioni urgenti. Gli AMG della 5ª e dell’8ª armata erano organizzati nello stesso modo, con alcune varianti di forma e di struttura. Ambedue erano formati da funzionari inglesi ed americani.
Per rendersi conto dei risultati ottenuti in ogni campo dalla Commissione Alleata, basta esaminare i rapporti delle sotto-commissioni. I suoi specialisti, essendo quotidianamente a contatto coi tecnici italiani dei vari ministeri, potevano farsi un’idea precisa delle necessità più urgenti e coordinare i lavori da eseguire. Dovevano inoltre esser sempre a disposizione dello Stato Maggiore dell’esercito, che spesso aveva bisogno di loro per delle missioni speciali.
La sotto-commissione delle Forze terrestri dell’AC si chiamava anche «Missione militare presso l’esercito italiano». Si deve ad essa, per esempio, se l’esercito italiano è risorto. Con degli elementi demoralizzati, mal equipaggiati e stanchi (molti soldati italiani erano stati sotto le armi per otto anni) questa sotto-commissione riuscì a riformare delle unità abbastanza efficienti. Il Ministero della Guerra e l’esercito italiano furono completamente rinnovati; con una nuova organizzazione che eliminava gli elementi non essenziali, si formò un certo gruppo di unità da combattimento, in base all’equipaggiamento ed ai trasporti disponibili. L’amministrazione fu epurata e divisa in 11 Regioni Territoriali, 99 Distretti Militari e 90 Depositi Regionali. Ciò avrebbe servito, col tempo, ad estendere l’autorità e il controllo del Ministero della Guerra in tutta l’Italia.
La sotto-commissione della marina lavorava per il Comando Navale Alleato del Mediterraneo e controllava l’amministrazione del Mediterraneo e controllava l’amministrazione del ministero della marina italiano per conto della Commissione Alleata. Sotto la sua guida, la marina italiana cooperò utilmente allo sforzo bellico I campi di mine furono spazzati dai suoi marinai ed il suo personale presidiava le installazioni portuali, risparmiando così il potenziale umano alleato. Più di 35.000 operai lavoravano nei cantieri di Taranto e di Napoli ed in quelli più piccoli di Palermo e Livorno. Nella primavera del 1945, erano state eseguite più di 2.000 riparazioni e 1.000 messe in bacino. Erano state riparate mensilmente, 150 unità, tra navi da guerra e mercantili.
La sotto-commissione dell’aeronautica funzionava come le altre sotto-commissioni. Gli effettivi dell’aviazione italiana erano di circa 31.000 uomini. Quando gli alleati assunsero il controllo, c’erano circa 200 velivoli, fra caccia, bombardieri e idrovolanti. Il personale, però era efficiente e di morale alto. Con delle macchine logore, eseguivano voli pericolosi per portare delle tonnellate di rifornimenti alle truppe in Jugoslavia. Gli abilissimi meccanici italiani vennero trasferiti in blocco - erano 9.000 - alle Forze Aeree Alleate. I vecchi aeroplani italiani furono mantenuti in efficienza con dei ripieghi ingegnosi, perché le parti di ricambio erano pressoché inesistenti. Si cercavano dappertutto delle parti che potessero essere riadattate: nel Medio Oriente, nell’Africa del Nord e, più tardi, nell’Europa occidentale, ma con poco successo. Finalmente, cinque squadriglie da caccia alleate e bombardieri furono destinate all’aviazione rinnovata. Nell’aprile del 1945, gli italiani avevano effettuato più di 13.400 voli di guerra, meritandosi le lodi del comando aereo alleato per i loro attacchi alle linee tedesche nei Balcani.
Alla sotto-commissione della Sicurezza Pubblica, spettava l’ingrato compito di far rispettare la legge e l’ordine in una società disorganizzata dalla guerra. Bisognava ricostruire la polizia italiana e trasformarla in un ente apolitico efficiente e pronto a servire il pubblico. La cosa non era facile: prima di tutto andava distrutta l’eredità di corruzione fascista e poi bisognava procurarsi i trasporti, le razioni e l’abbigliamento necessario. Il totale dei carabinieri fu portato a 55.000 uomini (nel luglio del ’45 tale numero fu portato a 65.000). Gli agenti di P.S. (32.000), la Guardia di Finanza (30.000), la Guardia Forestale (4.500) e circa 7.500 metropolitani, dovettero essere riorganizzati. Uniformi alleate servirono a risolvere il problema del vestiario. L’Ovra, polizia segreta fascista, fu abolita. I Vigili del Fuoco - altri 13.000 uomini da controllare - furono riorganizzati alla meglio, dato lo scarso materiale. Fu iniziata la sorveglianza accurata e continua del traffico civile. Nel territorio del governo italiano, la circolazione fu lasciata libera, ossia senza bisogno di permessi. Nelle zone regionali dell’AMG fu istituito un tipo semplice di permesso di polizia; nelle zone d’operazione, invece, il traffico era controllato severamente e nessuno poteva circolarvi senza un permesso speciale dell’esercito. Il funzionamento della giustizia era rallentato temporaneamente dall’epurazione. I membri presidenti delle commissioni di epurazione erano prelevati dal personale giudiziario privando i tribunali di 150 giudici. Furono reclutati nuovi giudici e richiamati quelli a riposo. La sotto-commissione doveva riesaminare tutti i processi più importanti. Fino al 1° maggio, i tribunali dell’AMG avevano liquidato 82.778 casi. Soltanto nelle regioni meridionali bisognava riesaminare 8.892 processi svolti da tribunali italiani. Il ritardo era così grande che il 1° maggio c’erano ancora 16.000 casi da giudicare in Sardegna, 7.135 nell’Italia meridionale e 2.000 in Toscana.
La sotto-commissione legale provvide a ridurre a quattro i quindici proclami emessi dall’AMG. Nella primavera del ’45, le quaranta ordinanze generali furono ridotte a ventuno; soltanto i cinque avvisi pubblici (consegna delle armi, coprifuoco, ecc.) rimasero immutati. Inoltre la sotto-commissione fiancheggiò l’opera di giuristi italiani intesa a compilare i decreti riguardanti i matrimoni fra membri delle forze armate americane o alleate e donne italiane; si occupò anche del suffragio femminile secondo la legge italiana.
La sotto-commissione del governo locale, che aveva il compito di provvedere alla ricostruzione dei comuni e delle province, per reintegrarle nell’amministrazione italiana centrale, si manteneva in contatto continuo col ministero dell’interno. La difficoltà maggiore era di trovare un numero sufficiente di funzionari di carriera che oltre ad essere competenti fossero altresì esenti da ogni macchia di fascismo. Per la prima volta dal 1939, fu indetto un concorso per segretari comunali che dovevano amministrare i 7.339 comuni italiani. Spesso accadeva che i funzionari di carriera, vagliati e preparati a questo scopo, non accettassero nomine in province lontane dalla capitale, col pretesto di malattia o di difficoltà finanziarie. La sotto-commissione allora, doveva scovare un altro funzionario e, talvolta, l’inconveniente si ripeteva.
La Sezione Patrioti della sotto-commissione aveva percorso molta strada dall’estate del 1944. Sulla Linea Gotica, le armate alleate trovarono delle bande di patrioti ben organizzate ed i metodi di smobilitazione divennero più efficaci. Certificati firmati dal Maresciallo Alexander, erano stati stampati per distribuirli ai patrioti riconosciuti. I patrioti della Linea Gotica provenivano quasi tutti da unità militari alleate ed erano spesso comandati da ufficiali alleati. Molti erano stati costretti dalle condizioni invernali sulle montagne, ad attraversare le linee e chiedere aiuto agli alleati. In collaborazione col governo italiano, 76 ufficiali furono addetti all’assistenza ed al riordinamento delle bande.
La revisione degli antecedenti politici del personale governativo procedeva intanto rapidamente. Gli italiani miravano a sottoporre la nazione a un grande processo generale che valesse a distruggere l’influenza fascista infiltratasi in tutti gli strati amministrativi, comprese le istituzioni parastatali semi private, controllate dal governo. La procedura fu riconosciuta giudiziosa, equa e scevra da sospetti di vendette personali. Sembrò anche abbastanza pratica per raggiungere lo scopo: il risanamento di una intera generazione.
Gli esperti della sotto-commissione per i monumenti, belle arti ed archivi, si occuparono assiduamente del patrimonio artistico italiano. Appena un paese era liberato, i funzionari delle belle arti vi entravano al seguito delle truppe e facevano riparare alla meglio i monumenti colpiti, per impedire che venissero ulteriormente danneggiati. Verso la metà di aprile, quasi 120.000.000 di lire erano stati già spesi per lavori di riparazione di 534 progetti nella Campania e in Toscana, ed era stato chiesto lo stanziamento di altri 40.000.000. Il Campo Santo di Pisa fu provvisto di un tetto provvisorio e gli affreschi rovinati vennero ricoperti con appositi teli. Furono indetti concorsi per la ricostruzione di sei ponti fiorentini fatti saltare dai tedeschi, quando si ritirarono dalla città. Si scelsero quattro progetti e i lavori ebbero subito inizio. La Biblioteca Colombaria di Firenze (fondata nel 1735) era stata distrutta. Si fecero degli scavi e la famosa collezione poté essere salvata. A Palazzo Venezia, a Roma, fu fatta un’esposizione di capolavori europei. Vi passarono, in sei mesi, 175 mila visitatori, quasi tutti soldati in licenza: gli incassi delle entrate ammontarono a 1.500.000 di lire, che vennero devolute per il restauro dei monumenti italiani.
Nel marzo del 1945, la sotto-commissione dell’Educazione aveva praticamente finito il suo compito nell’Italia liberata. Quindici Università erano aperte e funzionavano, a Catania, Palermo, Messina, Napoli, Sassari, Bari, Perugia, Roma, Urbino, Macerata, Pisa, Siena, Firenze e Camerino. A parte le università, quasi 1.200.000 studenti frequentavano in 29 province liberate, 18.000 scuole - asili infantili scuole elementari, commerciali e secondarie. Malgrado ciò, 4.000 fabbricati scolastici erano ancora chiusi. Si era esaminata la posizione di 38.000 impiegati scolastici; e se ne erano licenziati 1.889 (quasi tutti occupavano le cariche amministrative più alte) a causa delle loro tendenze fasciste. Furono riveduti dieci libri di testo per le scuole elementari; e se ne stamparono all’incirca 2.000.000 di copie. I giovani esploratori, cattolici ed altri, furono riformati e riuniti in una federazione comune. Cinquemila ragazzi si iscrissero. Rinacquero anche le giovani esploratrici. A 500.000 bambini bisognosi vennero distribuite refezioni scolastiche gratuite in circa 500 comuni. Le relazioni culturali furono incoraggiate in tutti i modi. La letteratura delle nazioni alleate, proibita per anni. dal fascismo, fu introdotta di nuovo. Si prese in esame lo scambio di studenti fra l’Italia e l’America, e venne accordato ad uno dei maggiori scienziati italiani di recarsi negli Stati Uniti per studiarvi la «fisica nucleare».
La sottocommissione dei «profughi e rimpatrio» aveva il compito doloroso di occuparsi degli sfollati di guerra e di tutte le loro miserie morali. Fino al 1° maggio più di 177.000 profughi italiani e circa 60.000 alleati erano passati per le sue mani. I suoi registri contenevano 78.749 nomi di 73 nazionalità diverse, di cui 60.000 erano stati rintracciati. Per gli altri si sapeva soltanto che si trovavano in Italia durante l’anno precedente. Anche alla Croce Rossa Italiana erano registrati 90.000 nomi, e 60.000 presso il Vaticano. Dalla Croce Rossa britannica (al reparto delle «Relazioni con l’Estero») erano passate circa 13.000 domande di notizie e messaggi. In molti casi si era riusciti a rintracciare le persone ed a rimetterle in contatto colle loro famiglie di cui non sapevano più nulla dal principio della guerra. L’aiuto finanziario diretto prestato ai profughi dalla sotto-commissione, ammontava a circa 75.000.000 di lire.
La sotto-commissione dello «Smistamento del Materiale e dei Prigionieri di guerra», aveva una doppia missione e si occupava di un altro genere di rimpatrio. Al momento dell’armistizio, più di 500 mila prigionieri italiani erano in mani alleate circa quattro quinti in possesso degli inglesi e un quinto degli americani . Molti erano stati mandati in India, nel Medio Oriente, in Inghilterra e negli Stati Uniti. Per riportarli in patria occorrevano i trasporti, sempre scarsissimi. Inoltre bisognava che il governo italiano fosse capace di organizzare un rimpatrio in massa. Bisognava provvedere agli alloggi, ai viveri, al lavoro per i rimpatriati, tanto più che molti tra questi avevano le case in territorio ancora occupato dal nemico. Fu deciso, intanto, di far tornare degli specialisti, scelti individualmente, che sarebbero stati utili all’esercito italiano, alla rinascita industriale del paese od alla pubblica amministrazione. Sarebbero tornati anche gli ammalati ed i prigionieri più anziani.
Anche la sotto-commissione della Sanità Pubblica si occupava di ricuperi, ma per uno scopo diverse: raccoglieva coperte, zanzariere ed altra roba scartata dai militari e ne faceva indumenti per i bambini poveri.
Il lavoro della sotto-commissione era intralciato dalla severa limitazione dei rifornimenti. Le importazioni arrivavano per tramite dell’esercito, che doveva pensare prima di tutto a provvedere viveri e medicinali ai suoi uomini. I rifornimenti per i civili furono importati regolarmente anche durante il periodo peggiore della guerra sottomarina. Nella primavera del 1945, erano stati importati più di 2.500.000 tonnellate di generi diversi, per un valore di 300.000.000 di dollari. I convogli arrivavano in Italia alla media di uno ogni cinque giorni. In ogni convoglio, otto navi erano riservate alla Commissione Alleata. A volte, i bastimenti carichi di cereali erano sei per ogni convoglio. Considerando che, generalmente, la capacità delle navi Liberty è di 8.000 tonnellate, ci si farà una idea del naviglio necessario per mantenere un afflusso costante di rifornimenti nei porti italiani.
I viveri erano, naturalmente la parte essenziale delle importazioni; 1.496.000 tonnellate ne erano arrivate in Italia a tutto il 30 aprile, di cui più di un milione erano grano o farina. La metà di questi viveri veniva dai domini inglesi del Canada, dell’Australia, del Sud Africa e dal Medio Oriente. Comprendevano orzo, carne, pesce, formaggio, latte, legumi secchi, olio e grassi, uova in polvere.
La sotto-commissione dell’Agricoltura, intanto, si sforzava di potenziare la produzione dei generi alimentari al massimo, per poter ridurre le importazioni. Alla chiusura della stagione 1944-45, la campagna degli ammassi, o granai del popolo, aveva prodotto 11.221.100 quintali, ossia il 9% del totale prefisso. La raccolta dell’olio d’oliva era anch’essa al di sotto delle speranze (483.840 quintali alla fine di maggio), ma tuttavia sufficiente per una razione minima. La sotto-commissione, che collaborava col ministero italiano dell’Agricoltura, Foreste e Pesca, vedeva attuarsi i suoi piani di sviluppo e modernizzazione.
Ma il lavoro più ingrato fu quello della sotto-commissione dei trasporti: nulla si poteva fare senza mezzi di trasporto; e i trasporti erano scarsissimi. I viveri erano inutili se rimanevano fermi sulle banchine dei porti; le materie prime per le industrie e i prodotti delle fabbriche avevano, bisogno di camion per giungere ai consumatori. Gli operai stessi rendevano meno senza mezzi per recarsi al lavoro. I 7.500 autobus dell’Italia liberata erano ridotti a 2.000 nel 1945.
La sotto-commissione dei Lavori e Servizi Pubblici, fin dall’inizio della sua attività si era preoccupata della manutenzione delle strade principali. Nel 1944 vennero riparati più di 6.400 chilometri della rete stradale e furono costruiti 736 ponti principali; senza contare la riattivazione di centinaia di ponti minori. Nel febbraio del 1945, il programma dei lavori stradali aveva fatto passi da gigante. Fu dato inizio alla costruzione di altri 278 ponti, fu completato il restauro di 238 e iniziata la riparazione di altri 542.
La sotto-commissione era stata fra i primi enti a far parte della Missione Militare Alleata ed era stata in un primo tempo alle dipendenze dell’ammiraglio Stone, esperto in comunicazioni civili. In quei primi giorni di confusione, non esisteva un’autorità italiana per le telecomunicazioni e la coordinazione dei servizi era difficilissima. La sotto-commissione dovette letteralmente ricreare le comunicazioni italiane, rovinate dal sabotaggio tedesco.
Mentre l’AC, per due anni aveva studiato i problemi del governo militare, la sotto-commissione del commercio cercava di ricondurre la vita commerciale italiana sulla via della normalità. Sceglieva i generi più facilmente esportabili compresi i piccoli depositi di materiali antimonio e cadmio che potessero servire agli arsenali di guerra delle Nazioni Unite.
Per farsi un’idea della vastità del compito affrontato dalla sotto-commissione dell’industria, basta studiare il censimento fatto dalla sezione economica in 38 province dell’Italia liberata. Il rapporto – «Censimento e ispezioni per la ricostruzione nazionale» - è un opuscolo di 253 pagine che fu pubblicato nel febbraio 1945. Gli accertamenti compiuti in 1.769 stabilimenti dimostravano che in media il 40% del valore totale del materiale era stato danneggiato. Il 28,7% delle distruzioni era dovuto ai bombardamenti; inoltre i tedeschi avevano asportato il 25,7% del materiale industriale.
La faticosa esperienza delle varie sotto-commissioni economiche aveva insegnato che, data l’interdipendenza tecnica delle industrie moderne, bisognava tracciare un programma assai vasto e lungimirante. Per mettere in moto la macchina economica italiana, bisognava esportare una certa quantità di prodotti. Il programma di «pronto soccorso» per la ricostruzione economica italiana fu varato il 27 marzo, dalla Commissione Alleata, insieme al governo italiano. Durante lo stesso periodo, si discussero le basi di un progetto complementare; si trattava di creare un ufficio industriale consultivo, simile al «consiglio americano per la produzione» (U.S. Production Board). Questo ufficio doveva distribuire le materie prime più importanti e decidere le fabbricazioni.
Al centro dell’attività alleata, c’era la sotto-commissione delle finanze: questa interferiva in ogni questione, perché ad essa spettava il compito di dare il benestare finale alle requisizioni desiderate dagli AMG e di mantenersi in stretto collegamento coi funzionari italiani della finanza. La sotto-commissione trasmetteva al governo italiano le disposizioni in materia finanziaria emesse dai capi di Stato Maggiore alleati; calcolava l’ammontare dei crediti e dei debiti esistenti fra l’Italia e gli alleati; fissava i crediti alleati, il rimborso delle spese alle missioni diplomatiche italiane e sorvegliava le banche, le compagnie di assicurazione e la borsa. Per tramite dell’ufficio finanziario alleato, una delle sue sotto-divisioni si incaricava anche di procurare la moneta necessaria per gli stipendi delle truppe alleate che, generalmente, spendevano il 15% della loro paga in Italia. Per un certo tempo, servì anche da ufficio postale, per trasmettere al governo italiano le richieste alleate. Queste erano considerevoli: le forze armate spendevano una media di uno o due miliardi di lire al mese, per acquisti di materiale e per compensare i vari servizi. Spesso, però, gli inglesi pagavano in contanti e in certi casi, anche gli americani adottarono lo stesso sistema.
La sotto-commissione del lavoro partecipava alle operazioni economiche della Commissione. I funzionari del GMA aiutavano le forze armate a procurarsi la mano d’opera nei porti e impiantavano le officine di riparazione. Queste impiegavano più di 335.000 italiani.
Il nuovo piano per l’Italia era ben avviato. Spettava ora agli italiani continuare il lavoro, senza sorveglianza e assumendosi ogni responsabilità. La liberazione dei prigionieri di guerra italiani in Italia urtò in un lieve ostacolo. Gli stessi prigionieri italiani, che lavoravano per gli alleati, e godevano di una relativa libertà, erano contrari al cambiamento del loro status; il loro mantenimento era gratuito ed erano economicamente indipendenti. Si arrivò finalmente ad un accordo per il rilascio di questi uomini erano 34.000 ed il governo italiano fu incaricato della loro protezione.
INDICE
Presentazione 1 I - Introduzione . 6 II - Sicilia - I primi giorni 8 III - Brindisi e la riorganizzazione 11 IV - Napoli e la co-belligeranza 15 V - Dietro la linea di Cassino 21 VI - Roma e la stabilizzazione 27 VII - Riassunto 33 VIII - Il nuovo indirizzo per l’Italia 39 IX - Il lavoro delle sottocommissioni 45 X - L’ultimo girone 68
1. Per un quadro pressoché completo del ruolo svolto dalla propaganda degli Alleati in Italia è da consultare la Ph.D sostenuta nella Princeton University nel 1954 da R.W. Van de Velde “The Role of U.S. Propaganda in Italy’s return to Political Democracy, 1943-1948”. 2. Lamberto Mercuri: «1943-1945. Gli Alleati e l’Italia», ed. E.S.I., 1975, pp. 58 e 59. 3. Lamberto Mercuri, già cit., pag. 195. 4. I. Berlin: «Churchill e Roosevelt», in Tempo Presente, a. X febbraio, 1965, pag. 9. 5. Luigi Bonnate: «L’Italia nel nuovo sistema internazionale» in Comunità, n. 170 ottobre 1973, pp. 49. 6. «Clement Atlee in visita a Washington fu pronto ad esser d’accordo con Hoover. Egli citò Roosevelt quando disse «inevitabile» che gli Stati Uniti avrebbe giocato un ruolo più grande nel salvare la civiltà. Il Presidente Roosevelt venne ancora più avanti. Puntando su di un atlante, egli informò il suo interlocutore londinese “Qui è dove voglio portare le truppe americane”. Il dito di Roosevelt rimase su Algeri». A.A. Hochling «American’s Road to War 1939-41», London, 1970. 7. Vedi «Profilo ideologico del Novecento», in «Storia della Letteratura italiana», Garzanti, 1969, pag. 216. 8. Nel luglio 1945 ne rimanevano solo 4: 2 in Sicilia, 1 a Lampedusa e l’ultimo a Pantelleria. |