a fini scientifici e divulgativi del presente articolo
con obbligo di citazione della fonte
Quaderni della FIAP, n.5,
La morte di Lauro De Bosis
Scenario di V. Faggi
A quarant’anni dalla scomparsa
del giovane Lauro avvenuta nel cielo del Tirreno dopo un volo su Roma in una
notte d’autunno, è l’amico Vico Faggi, sempre attento ai fatti e agli eventi più
probanti della nostra storia più recente, a riproporci la figura e l’opera di
De Bosis. Può apparire forse superfluo, rivolgendosi al mondo antifascista (ma
non solo a questo) far conoscere cosa l’autore di «Storia della mia morte»
abbia rappresentato col suo sacrificio e quale proiezione esso abbia avuto
nella nostra guerra di Liberazione. Ma forse mai come in questo momento, tra i
più confusi e inquieti, il lavoro di Faggi, intelligentemente impastato come
«scenario» e perciò rivolto ad un uso anche radiofonico e televisivo, appare
utile, anzi necessario, non soltanto per la carica ideale che lo sorregge e lo
anima, ma per la severa verifica, che sollecita, delle nostre posizioni di
oggi. Una testimonianza umana e una azione concreta per un allargamento del
terreno di comprensione, di dialogo, di informazione, di giudizio storico. Idealmente allievo di Gaetano
Salvemini, crediamo che, come pochissimi, Lauro De Bosis abbia risposto alla
logica dello scritto del Maestro incitante gli italiani a riconquistare la
libertà oppressa dal fascismo: «il libro del destino è sempre aperto a chi
voglia scriverci la sua parola. Chi non vi scrive nulla non vi trova nulla. Chi
si fa avanti a riempire le pagine le riempie in proporzione della propria
volontà». Chi era Lauro De Bosis, cosa
rappresenta per le generazioni più giovani e per quelle di oggi? Fu un
sacrificio vano il suo? Rispondono per tutti Lionello Venturi e Gaetano
Salvemini. Dice il primo in uno scritto del 1937: «Non aveva ancora compiuto i
trent’anni quando, il 3 ottobre 1931, partito dalla Costa Azzurra, Lauro De
Bosis volò su Roma, distribuì dal cielo quattrocentomila lettere e poi
scomparve per non riapparire mai più. L’aviazione romana, il 4 ottobre, si
vantò di averlo raggiunto e distrutto sulla via del ritorno. Vanteria, verità?
Forse nessuno mai lo saprà. I foglietti furono subito sequestrati, pochi
andarono a destinazione. Ma Lauro De Bosis aveva preparato il suo colpo
politico con una lettera che valeva da sola più delle quattrocentomila lasciate
cadere su Roma. Pochi momenti prima di salire sull’aeroplano, senza fiducia nel
ritorno, impastò la “Storia della mia morte” che fu pubblicata nel “Times”
alcuni giorni dopo. Era la voce del risorto dalla morte, che malediceva il
fascismo, invocava la libertà d’Italia e di tutti i popoli oppressi, e assegnava
il compito ai combattenti per la libertà: morire! Quella voce ebbe un’eco nel mondo
intero, si sentì qualche scricchiolio alla base del regime, dopo di che
continuò a durare la vergogna. Ma l’eco del morto non è spenta, per ora, nei
cuori memori; più tardi rivivrà in ogni casa italiana». Aggiunge Salvemini: «Chi muore
per un ideale non sa quel che accenderà alle speranze del suo cuore. Sarà quel
che sarà. Altri ripresero il lavoro di Lauro dove lui dové arrestarsi. Senza tanti
preparativi e tanti sacrifici, gli eroismi dei patrioti italiani nella guerra
di Liberazione non sarebbero stati possibili dopo il settembre 1943». Per nostra natura non siamo inclini all’ottimismo, ma siamo consapevoli e
tutt’altro che rassegnati. Svanite le «illusioni» del 1945, altri e nuovi
problemi hanno travagliato la nostra vita quotidiana in tutti questi anni.
Certo ci siamo sentiti colpiti (e la mia generazione, non lontana dalla
cinquantina, soprattutto) da momenti di amarezza, di sfiducia, di sconforto, ma
non dobbiamo dimenticare che le speranze accese dalla Liberazione non furono
meri vaneggiamenti; e che risultati positivi sono stati raggiunti: il Paese è
cambiato fin quasi a darci l’illusione di esser un altro popolo con una morale
e una coscienza diverse. E seppure oggi lo vediamo con occhi, il più possibile,
disincantati, possiamo dire che in essa via è anche il frutto della breccia
aperta dalla Resistenza nello spesso e grigio muro della conservazione. E
benché la situazione italiana ci sembri, spesso, ricca di aspetti negativi, di
là riparte la nostra fiducia e la nostra speranza. La storia ammonisce - nonostante
l’assillante incertezza e la frenesia dei tempi che ci sono dinanzi - che ogni
lotta sincera per la libertà non è mai sterile. E nessuno, meglio di Lauro De Basis,
incarna la spirito della libertà, la sincerità della lotta, la purezza del
sacrificio. Siamo grati a Faggi, quindi, di averci ricordato la figura del
giovane poeta antifascista in un momento in cui, nell’oscillare delle opinioni,
è fortemente sentita l’esigenza di un punto di riferimento, che non può essere
che etico.