a fini scientifici e divulgativi del presente articolo
con obbligo di citazione della fonte
Quaderni della FIAP, n.39,
Gramsci e il futurismo (1920-1922)
Dino Mengozzi
Presentazione di Lorenzo Bedeschi
Il giovane
studioso Dino Mengozzi, un volenteroso precario che si sta
occupando di movimenti avanguardistici nei loro rapporti con la sinistra
italiana d’inizio secolo, ha preso in esame in questo saggio non privo
di originalità l’interdipendenza fra il maggior movimento novatore artistico
di quegli anni e l’ordinovismo politico nei suoi noti esponenti (Gramsci,
Gobetti, Calosso). Per non fondare il
discorso su astratte formulazioni ideologiche o proposte di
utopie, peraltro non assenti e non infeconde, il Mengozzi ha preferito
analizzare alcuni atteggiamenti assunti da Gramsci e dall’avanguardia artistica
nel primo dopoguerra intorno ad una iniziativa concreta; che poi è una mostra
di pittura e scultura, allestita a Ravenna e trasferita a
Bologna e infine a Torino (marzo-aprile 1922). Non solo a questa
mostra Gramsci guarda con notevole interesse, ma essa gli ispira anche
uno dei suoi motivi di colloquio con Trockij nel settembre del ‘22 a Mosca. Con ciò il
Mengozzi non ha preteso ovviamente di fare del giovane Gramsci il
teorico del futurismo, dopo che altri per oltre vent’anni lo hanno
quasi canonizzato quale uno degli ideatori del neorealismo. Più semplicemente
e correttamente ha ritenuto di riproporre una maggior complessità non solo del
pensiero gramsciano in questo periodo giornalistico ma anche della sua
azione; e di riflesso della sua spregiudicata appropriazione di idee o com’egli
amava dire di «una verità da qualsiasi bocca» L'analisi si situa
all’incrocio di coordinate ben precise, vale a dire all’indomani della
prima grande guerra, con le suggestioni della rivoluzione
d’ottobre
da una parte e della reazione montante dall’altra. La società
italiana è sottoposta alle note lacerazioni dei complessiproblemi
esplosi con nuove dimensioni fra le masse dei reduci già esasperatamente
provati; lacerazioni che si incrociano con una non minore crisi
spirituale alimentando contraddittorie e inquiete manifestazioni, dietro
cui avanzano insieme a sussulti eversivi le più spregiudicate ricerche
artistiche. Su tale sfondo, il ribellismo futurista riprende la sua
caratteristica fisionomia prebellica esprimendosi con intense «serate»
antipassatistiche. La citata mostra
di Ravenna ha pertanto alle spalle questo scenario. Nessuna
meraviglia quindi, per quanto si è detto ch’essa abbia potuto trovare
ampia ospitalità nelle pagine dell’«Ordine Nuovo» di Gramsci. Organizzata
nell’inquieto capoluogo romagnolo, alcuni mesi prima, ha lo
scopo di inaugurare una vera e propria «stagione artistica». L’iniziativa, che
ha fatto variamente discutere gli specialisti, costituisce
probabilmente l’asse centrale di un tentativo di rilancio del futurismo
nelle mutate condizioni sociali del dopoguerra. Marinetti si adopera,
infatti, durante tale periodo, per rendere nuovamente operante
il Movimento in molte città italiane senza tralasciare, in parallelo,
di organizzare «serate» di declamazione e di teatro in alcune importanti
capitali europee. Inoltre, come annotava il Resto del Carlino,
essa viene a coincidere con un periodo di indipendenza politica del
leader del futurismo italiano. Il quale, abbandonati i Fasci di combattimento
per la loro conversione a destra, sembra ricuperare, con la
pubblicazione di Al di là del Comunismo, una originale individualità
politica, oltre e al di fuori di ogni coalizione, inaugurandocontemporaneamente,
dopo i furori guerrafondai, una ripresa dellaagitazione contro
gli aspetti più tradizionalistici della cultura italiana. Si diceva della
maggior complessità del pensiero giornalisticogramsciano, su cui
il Mengozzi con questo saggio vuole fra l’altrorichiamare
l’attenzione degli studiosi. Giacché, almeno finora, è forsemancato
da parte della critica in generale uno sforzo per verificarese
non era un apriorismo il Gramsci «costruito» dai teorici del neorealismo. Certe
citazioni di testi gramsciani che il Mengozzi riportain
nota, finora scarsamente valorizzati, più alcuni materiali riprodottiin
appendice come l’articolo di Arturo Cappa e gli scritti di UmbertoCalosso
sembrano avvalorare le conclusioni del giovane studioso. Che poi riguardano
lo stretto legame fra Gramsci e Lacerba nel suo complesso. Sicché, seguendo
questo filo rosso costituito dall’interesse di Gramsci per tutto ciò che di
più moderno viene ricercato nell’arte e nella vita, ci si trova all’interno delle
problematiche sulle quali ritorneranno i Quaderni del carcere. Una di queste è appunto il richiamo all’assenza
del carattere nazional-popolare della Cultura italiana. E l’unica reazione
a tale assenza, in Italia, l’avrebbe offerta secondo Gramsci il futurismo
combattendo gli aspetti più conservatori della attività intellettuale e
artistica.