rossi Il manganello e l'aspersiorio

Redazionale. Recensione al volume di Ernesto Rossi, Il manganello e l'aspersorio (a cura di Mimmo Franzinelli), Milano, Kaos, 2000, 370 p. ; 21 cm.

Questo libro di Ernesto Rossi, Il manganello e l’aspersorio, torna ad uscire grazie a Mimmo Franzinelli, che ne ha curato la riedizione e ha aggiunto un’interessante "Postfazione", in cui sono documentate le campagne inscenate contro questa opera e contro il suo autore. L’ "Osservatore Romano" chiese che Rossi venisse "denunziato alla Commissione Disciplinare (e non quella soltanto) dell’Albo dei Giornalisti per flagrante indegnità professionale". Purtroppo la denunzia non ebbe seguito. Ma il 15 aprile 1962 una squadra di picchiatori fascisti riparò a questa mancanza con un’incursione al Teatro Brancaccio di Roma, dove si teneva un "Incontro internazionale per le libertà del popolo spagnolo", prendendo di mira in particolare Ernesto Rossi e malmenando i presenti al grido "Abbasso gli assassini dei preti e delle monache! Viva il Cristianesimo! Viva la Chiesa! E’ un’offesa che vi riuniate nella capitale della cattolicità!". Naturalmente, tutti i picchiatori che furono processati per questa trovata furono assolti trionfalmente.

Franzinelli è uno studioso serio, autore di opere storiche di valore, tra cui una – I tentacoli dell’OVRA, Torino, Bollati Boringhieri 2000 – veramente esemplare come indagine storica su uno dei più tenebrosi strumenti del potere criminale mussoliniano. Ha lavorato assai bene anche stavolta, rimettendo in circolazione un classico dell’antifascismo divenuto ormai inaccessibile al pubblico, se non di antiquariato. Infatti, Il manganello e l’aspersorio, a quasi mezzo secolo ormai dalla sua prima comparsa, non dà segni di vecchiaia: si legge ancora tutto di un fiato. Caustico, come se fosse stato scritto ieri, agilissimo, si gusta dalla prima pagina all’ultima come pochi altri libri. Ma al tempo stesso è un lavoro documentario di una serietà inattaccabile. Si sono potute levare grida di sdegno contro Ernesto Rossi e il suo anticlericalismo. A tutto oggi, non si è potuto coglierne un fallo o sbugiardarne una riga. E’ impossibile negare che certe parole siano state scritte o dette dalle più alte autorità ecclesiastiche a favore prima della conquista fascista della Stato, poi un’esaltazione dell’Uomo della Provvidenza, più tardi per suonare fanfare di guerra in Etiopia e in Spagna. E’ impossibile non provare veramente ammirazione per la grandezza morale e spirituale di Ernesto Rossi. E della sua grandezza è conferma anche il coraggio con cui questo libro sfidò il potere democristiano, allora al colmo delle sue fortune, o le lucidità con cui esso sfatò versioni del passato addomesticate e tendenziose.

Caso mai, se una critica si può fare a questo libro, non è quella di essere stato troppo duro nel giudizio storico sulle connivenze tra Vaticano e Regime fascista, è quello di avere messo in risalto tali connivenze troppo esclusivamente sotto il profilo dei valori e gli ideali della moderna civiltà liberale laica e poco o nulla sotto quello dei principi stessi del cattolicesimo. Tale unilateralità è ben comprensibile, dato il laicismo intransigente di Rossi. Però, diciamo la verità, se Pio XI si fosse limitato ad accettare il fatto compiuto della Marcia su Roma e a cavare dall’Uomo della Provvidenza, quanto più era possibile per la sua Chiesa Cattolica e per i suoi preti, noi antifascisti potremmo certo indignarci, ma non potremmo non ammettere che, in definitiva, aveva fatto il suo mestiere di papa. Si può mai chiedere al papa di non essere un avversario dei "rossi" sovversivi, dei massoni, dei democratici laici e voltariani? Si può proprio stupirsi perché non respinga alleanze, magari stucchevoli con chi a questi nemici si oppone col manganello?

Ma Pio XI non si limitò a questo. Eletto papa il 6 febbraio 1922, dieci mesi dopo appena, il 20 dicembre successivo, aprì il fuoco su don Sturzo e i popolari con la Ubi Arcano Dei sulla Azione Cattolica, che li metteva al bivio tra la rinunzia all’autonomia politica o la sconfessione da parte della Santa Sede. Badiamo bene: il 20 dicembre Mussolini stava ancora almanaccando sul da farsi a Roma. Non erano ancora passati due mesi dalla Marcia su Roma e la Legge Acerbo era di là da venire e il delitto Matteotti nessuno se lo sognava. Non si può dire che Pio XI si sia rassegnato a fatti compiuti, cercando il minor males. Il fatto compiuto lo creò a danno non di un nemico della Chiesa, e neanche di un esprit fort ridanciano, ma a danno di un sacerdote, di un irreprensibile sul piano della fede e del costume, per umiliare e stroncare un partito fin troppo baciapile; un partito che non aveva mai avanzato un solo disegno di legge sgradevole per la Santa Sede, ed a cui la voce pubblica attribuiva la collaborazione di legioni intere di preti e frati: sessantamila, secondo Salvemini. Ad un esercito di cattolici, che andavano sicuramente alla messa tutte le domeniche, fu preferita una manica di canaglie della forza di Farinacci, ateo notorio e dichiarato, o di Balbo, complice dell’assassinio del prete don Minzoni. Per i cattolici il papa è il Santo Padre. Un bel padre davvero si dimostrò Pio XI per migliaia di loro, la cui unica colpa era stata quella di avere creduto fosse doveroso o quasi militare in un partito di cattolici!

Cosa sia costata all’Italia l’emarginazione di tante brave persone, compreso personalità della statura di De Gasperi, di Gronchi, di Zoli per tacere di Sturzo stesso, fa rabbrividire pensando. Un’emarginazione che volle dire fare vita grama da impiegatuccio per De Gasperi, fare il rappresentante di una ditta straniera per Gronchi, crepare di fame – letteralmente – per Donati, e via discorrendo. Col bel risultato finale che al termine del Ventennio, un bel po’ di italiani passò armi e bagagli al Pci, e il Vaticano si dovette raccomandare proprio ai De Gasperi, i Gronchi e gli Zoli per rimediare ai pasticci combinati dai suoi inquilini. E fu fortuna per il Vaticano che i De Gasperi, i Gronchi, gli Zoli fossero tanto pazienti e generosi da non presentare il conto di quel che avevano subito. Altrimenti anche qualche altro augusto personaggio avrebbe dovuto andare in villeggiatura a Cascais, oltre al povero Umberto di Savoia. Un bel modo di fare gli affari della Chiesa e della religione cattolica oltre che dell’Italia, figlia dilettissima!