TESTIMONIANZA SULLA PRESTIGIOSA FIGURA DI CORRADO
BONFANTINI
di Giovanni Ferro
Ho conosciuto Corrado Bonfantini nel 1933 all’isola di
Ponza dov’egli arrivò con una schiera d’intellettuali milanesi e
novaresi. Fra di essi ricordo Piero Montagnani, futuro Vice Sindaco
di Milano, lo studente Giuseppe Boretti dell’Università Cattolica
che morirà combattendo nel corso della guerra civile spagnola e il
suo amico e compagno Eugenio Giovanardi che lo seguì in Spagna per
poi concludere la sua avventura davanti al Tribunale Speciale che lo
destinò al penitenziario di San Geminiano. Seguivano gli studenti di
medicina Leonida Manzocchi e Corrado Bonfantini di Novara, reduce di
una precedente esperienza carceraria inflittagli dal Tribunale
Speciale per l’attività di propaganda antifascista nelle file
comuniste, malgrado il padre fosse stato Sindaco socialista di
Novara.
Gli altri del numeroso gruppo erano professori, tecnici
e studenti. Io provenivo dall’isola di Lipari dov’ero arrivato
nel 1930, in tempo per fare la conoscenza ed ottenere l’amicizia di
Ferruccio Parri.
Corrado manifestò ben preso la sua personalità,
dimostrando di non voler accettare supinamente le direttive impartite
dall’organizzazione clandestina del partito.
A breve distanza di tempo sopraggiunsero ben 18
«funzionari» del P.C.I. ai quali era stato risparmiato il rituale
procedimento di deferimento al Tribunale Speciale, perché giudicato
politicamente inopportuno.
Infatti il recente decreto di amnistia era rivolto a
dimostrare a tutti gli italiani che l’antifascismo era stato
definitivamente debellato. La personalità più eminente fra questo
stuolo di militanti eccellenti -
taluni dei quali avevano frequentato l’Università leninista di
Mosca
era quella di Giorgio Amendola, arrestato a Milano con Giuseppe
Boretti, il quale aveva promosso la collaborazione con gli studenti
socialisti guidati da Rodolfo Morandi. Padre Gemelli, Rettore
dell’Università Cattolica gli aveva scritto in carcere per
informarlo di averlo denunciato per il suo bene. Era noto che Padre
Gemelli proveniva dalle fila socialiste.
Nei primi mesi dell’anno 1933 cominciarono ad affluire
all’isola di Ponza i militanti liberati per amnistia dai
penitenziari di Turi, di Bari e di Civitavecchia. Essi portarono la
sconvolgente notizia che Antonio Gramsci «era fuori della linea del
partito». A seguito di questo annuncio si venne a creare un clima
politico incandescente. Si scatenò un mare di polemiche e di
rievocazioni. Ritornò di bruciante attualità la famosa lettera
inviata da Gramsci
nella sua veste di Segretario del P.C.I. in carica
all’Internazionale Comunista per manifestare il «dissenso» del
partito italiano alle tesi di Stalin, reclamando il rispetto verso le
tesi dell’opposizione trotzkista. Togliatti da Mosca aveva risposto
che riteneva inopportuna la posizione assunta in quanto superata
dall’avvenuta scissione. Gramsci aveva replicato che un
rivoluzionario non è più tale se si arrende al fatto compiuto.
La crisi del 1929 era stata giudicata dal COMINTERN come
la crisi definitiva del sistema capitalistico, per cui era doveroso
intensificare la lotta all’interno del paese anche sacrificando i
quadri migliori. Coloro che non accolsero questo superficiale
giudizio furono espulsi dal partito. I più rappresentativi fra loro
furono Leonetti, Tresso, Ravazzoli e Ignazio Silone. Informato
dell’accaduto Gramsci manifestò la sua opposizione alla decisione
della Direzione del partito e propose invece la creazione di
un’Assemblea Costituente con la partecipazione di tutte le forze
politiche antifasciste per addivenire alla formazione di un Fronte
Unico Antifascista. Se quella tesi avesse potuto prevalere ben
diverse prospettive si sarebbero aperte di quelle che invece ci
portarono alla capitolazione di fronte alla Monarchia con la
famigerata «svolta» di Salerno
premessa della resa del Governo Parri e dell’accoglimento del
«diktat» clerico-fascista contenuto nell’art.7 della
Costituzione.
Ho voluto stendere
sia pure in modo sommario
questo quadro di prospettiva storica per giustificare quello che fu
l’atteggiamento anticonformista di Corrado Bonfantini in quel
lontano passato, perché questa fu la matrice del dissenso che lo
avrebbe portato, a non breve scadenza, fuori del partito comunista e
ad entrare con tutto il suo generoso attivismo nelle file del partito
socialista.
Un primo riscontro dell’inadeguatezza della linea
politica del P.C.I. lo avemmo in quello stesso anno 1933.
Io con altri nove compagni dovevamo presenziare ad un processo in
Appello presso il Tribunale di Messina per una condanna che ci era
stata inflitta per il reato di resistenza alla forza pubblica a
proposito di un fatto avvenuto nel carcere di Lipari. Transitando per
il carcere di Poggioreale a Napoli c’incontrammo con Donati di
Faenza, condannato all’ergastolo per aver ucciso in conflitto due
squadristi. Eravamo alla vigilia delle elezioni politiche in
Germania. Le previsioni erano favorevoli, in quanto la somma dei 12
milioni di elettori socialdemocratici con i 6 milioni di elettori
comunisti avrebbero dovuto garantire la maggioranza alla sinistra. Ma
la tattica politica inaugurata dal VI Congresso dell’Internazionale
Comunista definita del «social fascismo» ostacolò il realizzarsi
di quella somma di voti che doveva
in linea logica
portare la sinistra alla vittoria. I comunisti, giudicando «social
fascisti» i socialdemocratici, non vollero unirsi a loro, per cui
Hitler trionfò e ottenne il potere per via legale dal Capo dello
Stato: il gen. Von Hindenburg.
Liberato dal confino per adempiere il servizio militare,
lasciai l’isola. Dopo la parentesi nell’esercito mi trasferii a
Milano dove presi i contatti politici. Parri un giorno mi segnalò la
presenza saltuaria di Corrado Bonfantini che esercitava la
professione di medico condotto in provincia di Domodossola.
Collaborammo nell’organizzazione del Fronte Popolare a Milano con
Parri e Morandi nel 1936. Allo scoppio della guerra civile spagnola
fui nuovamente arrestato e confinato a Ventotene, poi in Calabria
fino all’agosto 1940.
Ho seguito successivamente la prodigiosa attività di
Corrado durante la Resistenza, cui egli ha partecipato come
Comandante delle Brigate Matteotti, dimostrando tutte le sue doti di
coraggio e di iniziativa politica che gli hanno guadagnato
l’ammirazione per la sua audacia e la sua disinteressata dedizione
alla causa socialista.
Io posso sinceramente testimoniare ch’Egli ha speso
tutta la sua vita senza mai calcolare i vantaggi che avrebbe potuto
trarne personalmente.