Poesie_ Qualcosa da ricordare
QUALCOSA DA RICORDARE
RACCOLTA DI POESIE INEDITE DELLA RESISTENZA
QUADERNI
della
F.I.A.P.
© I Quaderni della FIAP
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Quaderni della FIAP, n.31, 1978
QUALCOSA DA RICORDARE
Raccolta di poesie inedite della Resistenza
A cura di Piero Merlino
INDICE DEI POETI
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Presentazione
Piero Merlino, collaboratore all’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, autore di un pregevole volume affidato per la pubblicazione all’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nelle Marche, ha fatto opera ammirevole nel raccogliere in questa raccolta un centinaio di poesie inedite, scritte da sessantacinque poeti di ogni età, di ogni condizione sociale e di ogni regione d’Italia, bravi e meno bravi nell’uso del linguaggio poetico ma poeti tutti ugualmente nell’animo, alcuni conosciuti e altri ignoti o quasi al di fuori della cerchia di familiari ed amici. Per ogni poeta vi è uno schizzo biografico: hanno in comune esperienze vissute direttamente durante la Resistenza o, non avendole vissute, fatte proprie con la mente e con il cuore; hanno in comune emozioni profondamente sentite e l’aspirazione tenace di realizzare un avvenire di libertà e di giustizia. Sono le esperienze, le emozioni e le aspirazioni che furono il patrimonio dei più fra quanti operarono nella Resistenza e fra quanti - troppo giovani per avervi partecipato - consapevolmente e deliberatamente se ne fecero gli eredi nel dopoguerra. Qualcosa da Ricordare, Raccolta di poesie inedite della Resistenza è il titolo modesto del volume: no, caro Piero, non si tratta di «qualcosa» ma di molte cose che vanno ricordate, che sono importanti oggi come lo furono allora durante la sanguinosa Resistenza armata del 1943-45 e la dura Resistenza silenziosa del ventennio buio, in Italia e fuori d’Italia; «Si fanno molte cose» scrive nella sua poesia con troppo modestia Lina Angioletti: quali cose vennero fatte! migliaia e migliaia di azioni grandi e piccole ma tutte ugualmentegenerose la cui somma furono la risurrezione morale della nazione e l’insurrezione contro un nemico potente, spietato e bene armato.
È una raccolta in cui si parla di partigiani, di dolore e di morte, in cui si rivive la tragedia di allora, come se ne rivivono la volontà e le speranze. «Fummo uomini liberi» ricorda Enrico Lodi; per diecine e diecine di migliaia che non tornarono si trattò di andare «dai banchi / di scuola, al legno delle forche» ci dice Renato Giuntini; «Tom è andato a morire», «Dondola al vento / il partigiano / sospeso per la gola» sono le poche parole di Giulio Panizza e di Carlo Curadi sufficienti per descrivere brevemente e completamente due eroi; con loro piange Silvia Napoletano vergando l’epitaffio di un altro eroe - uno fra tanti come lui: «giacesti / libero ed immobile»; morivano soli, morivano in tanti: «tredici cappi di canapa grezza / e un grappolo di Morti» canta Dante Strona. Per chi sopravvisse c’erano stati i combattimenti, le imboscate, le fughe precipitose, gli attacchi disperati, c’erano stati dolore e sofferenze quasi sempre, fame e freddo sempre: «Faceva tanto gelo in montagna» ricorda Leone Bernardi.
C’erano sopra tutto i giovani, quelli che non avevano conosciuto che dittatura, «voce del padrone», adunate «oceaniche» di folle falsamente plaudenti. «Ma ha sedici anni, signore! / che può aver fatto?» era il grido straziante ricordato da Joyce Lussu di una madre a cui portavano via il figlio - per fucilarlo; «Ho diciassette anni» confessa candidamente Giancarlo Silvetti ricordando il molto che fece nel ’43-’44 in una zona presa particolarmente di mira da nazifascisti. Ai giovani sono vicine le madri; c’è pianto nelle parole di Giuseppe Brini «Vidi una madre / Piangere senza rumore»; Alvaro Valentini non ha una parola inutile quando, scrivendo «la donna era lì con una grande scure», ci dice dello strazio e della passione di vendetta di una madre quando si vide davanti la spia che aveva denunciato e fatto fucilare il figlio, e non ha una parola inutile Sergio Augeri che ricorda «... il cipresso / dove pendeva mia madre impiccata».
Era una idea che fece andare tanti in montagna, che ne fece partigiani clandestini nelle città, l’idea di libertà - a volte chiara e a volte vaga ma sempre sentita prepotentemente. «Quale segno t’addusse o partigiano / alla montagna / se non la libertà... / compagna inseparabile?» canta Alfredo Massa e gli fanno eco «… la musica possente di libertà» di Lugano Bazzani e «gli altri sentieri di Libertà» di Leonardo Tarantini; per la libertà si muore ci dice Armando Tognocchi: «Profuma... la mia libertà / Della tua carne... / Immolata sull’ara più bella».
La vita continua, non solo, nelle parole melanconiche di Rosalba Bacci, «le querce e i pioppi hanno dimenticato»; ora che una intera generazione è passata e che sono anziani, anche vecchi, coloro che furono giovani Resistenti, dei più che morirono per dare a chi sopravviveva una vita migliore non resta che il nome inciso su una pietra, un cippo, una stele eretta dalla pietà di popolazioni grate e riconoscenti: ce lo dice Ferdinando Russo «... nessuno ti diede lauri, bolle od oro / - - - / la Nemesi però ... grida Ecco l’Eroe». Se oggi viviamo in un mondo che con i suoi difetti ed i suoi orrori è migliore di quello degli anni trenta e molte volte migliore di quello in cui vivremmo se vinceva il Tripartito, lo si deve a coloro di cui «non sia inutile il sacrificio» come ammonisce Lea Luzzati Segre, coloro che non si domandarono discutendo sottilmente se l’azione, nelle parole di Luciano Simioni «possa giovare / ai superstiti?» ma affrontarono la morte affinché, ricorda Giovanni Melodia, «conoscano un giorno luminoso quieto / i nostri figli». E bene ha fatto Merlino ad indicare che apparteniamo tutti ad una comunità ben più vasta di quella nazionale, una comunità che abbraccia l’intera umanità, che la Resistenza non fu soltanto le battaglie combattute tra Alpi e mare, che era sorella la «Spagna / affascinante» a cui si rivolge Luciano Marzocchi dove nel ’36-’39 si combatté il preludio alla guerra del ’39-’45, che era sorella la Francia dove canta Hubert Graveraux, «j’ si vu du sang dans une rose / j’ vu Paris à la derive».
Dalla prima all’ultima pagina del libro - dalla introduzione in cui Piero Merlino scrive «occorre... isolare ed estirpare i negatori della libertà» all’ultima poesia in cui Lucio Zinna, a nome di tutti, dice «coltivo una utopia a nome libertà» - il tema, la libertà di tutti e di ognuno, è il medesimo come lo è per quanti, in tutti i continenti, soffrono, si agitano, insorgono. Ma non siamo che al principio: con la Resistenza è stata acquistata la consapevolezza della libertà; molta è la strada da percorrere ancora per trasformare la consapevolezza in istituzioni che assicurino il viver liberi di tutti nel rispetto reciproco, nella lotta al fanatismo e all’integralismo forieri di assolutismo dittatoriale, nel controllo su se stesso per non oltrepassare i limiti al di là dei quali è la libertà degli altri; molta è la strada da percorrere affinché con la libertà trionfi la sua gemella, la giustizia, ricordando, nelle parole di Riccardo Bauer che essa «è garanzia di libertà, ma solo la libertà politica è garanzia di giustizia sociale».
Max Salvadori
Introduzione
La raccolta di poesie della Resistenza (valga per tutte quelle di Accrocca e Volpini) si sono presentate, negli anni immediatamente successivi alla Liberazione come generate «non da un impulso di schietta natura letteraria» ma soprattutto da «un rinnovamento di coscienza» esperimentato dai poeti di un tempo di «agonia e di risurrezione». In altre parole, il «male di vivere» era apparso come qualcosa di storicamente preciso: era la dittatura, era il fascismo, era il tedesco ex alleato e, infine, invasore.... La poesia che cantava il superamento di questo male era «la poesia della Resistenza».
Riconosco che il discorso andrebbe sicuramente ampliato per una migliore intelligenza dell’argomento ma, in questa sede, dirò che non si tratta di un fatto isolato, da ricordare ed archiviare; al contrario, una riscoperta di valori da custodire. Epigrafi che rendono vive, in proposito, le parole di Piero Calamandrei «Ora e sempre Resistenza».
Sono trascorsi oltre trent’anni dalla Liberazione ma l’ammonimento di Calamandrei sembra ancora oggi non abbia perduto di valore.
I giovani, la classe dirigente di domani, devono sapere come è nata la nuova Italia democratica e repubblicana; e per non ripetere errori di ieri devono ricordare che il 25 aprile 1945 avrebbe dovuto significare non solo la fine del fascismo, portatore di delitti e barbarie, ma l’inizio di un’era nuova nella storia d’Italia.
La politica praticata dalla classe egemone si è invece valsa dei vecchi strumenti dello Stato, mentre le sinistre non hanno avuto la capacità di portare avanti il discorso profondamente rinnovatore della Resistenza.
Di queste inadempienze, non basta solo dolersi: occorre soprattutto lottare per isolare ed estirpare i negatori della libertà e del progresso.
Lottare ma anche ricordare per tenere fermo il messaggio. Oggi, in particolare, mentre un’ondata di feroce terrorismo sconvolge il Paese minando le basi della democrazia e della civile convivenza.
Una occasione favorevole per una migliore conoscenza del passato può essere rappresentata dalla presente raccolta di poesie.
Alcuni sotto il caldo impulso degli eventi immediati, altri a distanza di tempo, dopo una meditazione che accentua il senso morale dei fatti, raccontano e testimoniano, con le loro composizioni, l’epopea partigiana.
«Questo della letteratura della Resistenza - ha scritto Carlo Bo - è un privilegio italiano su cui non sempre viene gettata la giusta luce», su cui, aggiungerei, non sempre si esercita la dovuta azione perché essa sia interamente conosciuta.
Eppure essa è patrimonio comune che non può essere ignorato, che va rinnovato giorno per giorno e che «in fondo la vera intelligenza della vita - scrive ancora Bo - sta in questo, trarre dal passato la forza di continuare, la persuasione a sperare».
Prego quindi il lettore di non misurare l’alto scopo con la modestia della mia raccolta. A me è sembrato giusto anzi doveroso far conoscere liriche poco note (o perché inedite o perché disperse su fogli di «allora»), e riproporre, così altre voci, altri ricordi, altra rabbia repressa, altre speranze custodite. Con questa convinzione, io ho operato.
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno aiutato la mia fatica, fornendomi materiali (versi, dati, richiami, indicazioni, proposte, ccc.) e, soprattutto, le sezioni ANPI di Alessandria e di Parma che hanno contribuito alla realizzazione dell’opera e la FIAP nazionale che ha accettato, di inserire, il risultato finale del mio paziente lavoro, nella prestigiosa collana dei «Quaderni della FIAP».
2 giugno 1978.
Piero Merlino
Alla memoria di
Elio Filippo Accrocca
Lina Angioletti
Sergio Augeri
Rosalba Bacci
Ugolino Barciocco
Lugano Bazzani
Giuliano Bellini
Salvatore Bellini
Leone Bernardi
Liviè Berthac
Sergio Bitossi
Giuseppe Blasone
Giuseppe Brini
Mirco Giuseppe Camia
Nives Canestrini Fedrigotti
Liana Catri
Egidio Cerri
Luciano Cherchi
Virgilio Cipollone
Antonina Maria Corsaro
Maria Giuliana Costa
Carlo Curadi
Vittorio De Asmundis
Franco De Merolis
Lucio Di Domenico
Giovanni Duca
Vico Faggi
Aldo Farina
Lea Ferranti
Germana Fizzotti
Renzo Francescotti
Antonino Freno
Giovanni Frullini
Roberto Gagno
Walfrido Giannobi
Armando Giorgi
Fedele Giorgio
Renato Giuntini
Hubert Gravereaux
Mario Licata
Enrico Lodi
Joyce Lussu
Lea Luzzati Segre
Giancarlo Marchi
Luciano Marzocchi
Elio Martinis
Alfredo Massa
Maria Maurizi
Giovanni Melodia
Alberto Mario Moriconi
Silvia Napoletano
Filippo Nibbi
Giulio Panizza
Ettore Pellegrinotti
Livio Pivano
Ferdinando Russo
Gianriccardo Scheri
Paolo Serra
Giancarlo Silvetti
Luciano Simioni
Gianfranco Stivaletti
Dante Strona
Leonardo Tarantini
Armando Tognocchi
Alvaro Valentini
Massimo Villa Lucio Zinna
Emilio Lussu
e a tutti i combattenti
per la libertà.
Elio Filippo Accrocca, nato a Cori (Latina) il 17 aprile 1923. Vive a Roma, dove ha condotto a termine gli studi universitari laureandosi in lettere moderne, con la prima tesi sulla poesia italiana della Resistenza, relatore Giuseppe Ungaretti.
Ha diretto con Cesare Vivaldi i «Quaderni del Canzoniere», per un incontro tra poeti e pittori.
Cura rubriche per i programmi culturali della Rai.
Attualmente insegna all’Accademia di Belle Arti di Foggia, di cui è anche direttore.
Ha pubblicato moltissimi libri di poesia e di antologie, oltre a monografie di artisti.
STRADA DI COSTA
La voce d’ombra
da parte opposta col mutare delle ore,
al mattino salendo in terza stride
dietro il camion e rallenta l’andatura;
il pomeriggio varia la discesa
sulle smorte ville in silenzio...
ma anche l’ombra è voce
- lungo muri distesi da cancelli -
remota come il verde che sempre più decresce
«quella scia t’insegue se l’ascolti
come parola effimera»
null’altro t’appartiene se non l’inganno
del giorno che trascini
e nel conteggio assonni illusioni precarie
«invece di sottrarre
i metri di oggi al tempo che vacilla
di curva in curva»
al freno tieni il piede
perché la discesa inganna…
È un discorso per pochi che non giunge
alle bianche scogliere degli Esteri
il fitto grido che si perde per la valle
«USCITA DI AUTOCARRI» nei cantieri
cresciuti dalle tasche di santi e politici
/ altro che la 167... / sulla strada di costa
volteggia il falco in mercedes nutrito di mafia
col prato all’inglese per i suoi cani di razza
«vendesi VILLA Antica» ma il cemento
è in agguato a un milione il metrocubo
sul balcone di Roma vangato da Stendhal
che si nutriva, lui, di orizzonti...
14 maggio 1971
Elio Filippo Accrocca
Lina Angioletti, nata a Verona, laureata. in giurisprudenza, vive e lavora a Milano.
Fa parte del collettivo della Regione Lombarda.
Collabora in molte antologie con saggi critici e traduzioni.
Ha pubblicato libri di poesie e romanzi.
Percuote l’orecchio lamento-solitudine;
rigiravo membra di
giovinezza e guerra sbarrata alla
notte in via Ramazzini numero cinque; la
finestra improvviso di
mitraglia
come ventaglio aperto e
immobile l’aria i suoi pori di attesa così è stato
istante o minuto o più tempo di marmo. La
voce in salita, non il
grido mancato, voce-lamento e silenzio invano al
gelo alla casa di fronte alle stelle
sommerse alle inesistenti luci notturne al cielo un
tempo di fantasiosa
bellezza, l’orecchio teso al ritorno della
ronda crudele.
Fra la distanza erbosa da pioppo a pioppo nel
breve giardino a piedi della casa si levava la voce;
a piedi nudi la scala di corsa, dita bruciate alla
fiammella e odore di zolfo, il
portello cautamente, l’
orecchio ancora alla ferocia e poi si esce a voce rotta,
- dove sei - e tenere membra e l’odore-sudore-sangue, un
breve riso, zoppi-feriti entrambi,
caldo contro caldo dolore contro dolore
gioia contro gioia il vivido bianco della giovinezza; si
fanno molte cose, partigiano dalla
valle a me mescolato in
missione a Milano notturno preso nell’
ala, stecche bende amore e tutto l’occorrente.
Ritornato una volta alla notte da
cui intatto
ritorni, caldo contro
caldo dolore contro
dolore gioia contro
gioia.
Lina Angioletti
Sergio Augeri è nato a Milano l’8 gennaio 1932.
Vive e lavora a Cremona
Ha pubblicato una raccolta di poesie.
IL PARTIGIANO
Mi son nutrito con il pane duro
Rammollato dal pianto di mia madre
Ho camminato scalzo per le strade
Fiutando l’odore del cibo
Come fanno le bestie affamate.
Lassù sulla montagna nascosta
Era la vecchia capanna
Dove mi rifugiavo coi fucili
Che di notte fornivo ai miei compagni
Mia madre baciandomi diceva
Figlio mio non ammazzare ma non tornami ucciso
Io sparavo là fuori
Lottando contro la guerra
E i traditori del lavoro.
Son rimasto in agguato col gelo
Spalancato l’occhio nel buio
Foravo le tenebre con l’orecchio
Per udire rumori di spari.
Ho curato le mille ferite
Dei miei compagni colpiti
Le ho lavate nell’acqua
Che doveva dissetarmi nel sole.
Ho leccato le mie ferite di notte
Come fanno le bestie randage.
Ho interrogato il cielo
Chiedendo il momento opportuno
Per iniziare la battaglia.
Il tuono mi avvertiva lontano sul monte
Guizzando in un lampo di fuoco.
Ho combattuto su quelle mie zolle
Per difendere il mio pane di pace
E quando è finita la guerra
Ho riposto il pugnale
Ho riposto il fucile odoroso di polvere.
Mi sono asciugato la fronte
Bagnata di sudore e di sangue
Seduto là sotto il cipresso
Dove pendeva mia madre impiccata.
1952
Sergio Augeri
Rosalba Bacci, è nata ad Arezzo l’11 gennaio 1943, dove attualmente abita.
È insegnante elementare e presta servizio nel paese di Subbiano.
UN CIPPO
Nel cielo passavano
aquiloni di fuoco
e autoblinde pesanti,
come infernali rettili,
strisciavano per gli erti sentieri;
i due ragazzi raccoglievano bombe
come andare per funghi,
ma i tedeschi non intesero ragione:
due raffiche di mitra
servirono da esempio
a quel paese e ai partigiani.
Ora c’è un cippo
Là dove il Chiassa lambisce
a ovest le falde dell’Alpe
per lenire quella ferita:
nel silenzio della valle sonnolenta
non senti che il fruscio
dei merli tra le siepi,
le querce e i pioppi hanno dimenticato,
e a primavera i lillà
fa ombra a quei nomi.
1977
Rosalba Bacci
[Per la selezione completa delle poesie consultare il formato pdf]