EPISODIO 8 – GIACOMO MATTEOTTI E I COMUNISTI

Progetto: Matteotti e gli altri

Podcast: Rivoluzionari

Calssificazione: Contenuti adatti a tutti

Stagione: 3

Numero dell’episodio: 8

Tipo di episodio : Completo

 

Questo episodio è incentrato sul confronto tra Giacomo Matteotti e Antonio Gramsci, deputato e segretario del Partito Comunista d’Italia. Scopriremo come i rapporti tra Matteotti e i comunisti siano sempre stati difficili. 
Partiremo dal 16 agosto 1924, giorno del ritrovamento del corpo di Matteotti: allora Gramsci scrisse di lui che era stato un “pellegrino del nulla”. Un’espressione ingiusta? In realtà Gramsci rese omaggio all’uomo, senza nascondere i dissensi politici che li avevano divisi. 

Podcast realizzato da FIAP con il contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Struttura di Missione Anniversari Nazionali ed eventi sportivi nazionali ed internazionali. Scritto dalla storica Luisa Righi, sceneggiato da Donatella Fiorella e Andrea Ricciardi; narrato da Edoardo Mininni, Vittorio Tosi, Donatella Fiorella e Dario di Stano; con la produzione di Gabriele Beretta.

Maria Luisa Righi

Giacomo Matteotti e i comunisti

«Pellegrino del nulla» appare a noi Giacomo Matteotti quando consideriamo la sua vita e la sua fine in relazione con tutte le circostanze che danno ad esse un valore non più «personale», ma di indicazione generale e di simbolo.1

Con queste parole, il 28 agosto 1924, Antonio Gramsci ricordò la figura di Matteotti due settimane dopo il ritrovamento del corpo scempiato del deputato riformista. L’espressione «pellegrino del nulla» era ripresa da un discorso del bolscevico Karl Radek su Leo Schlageter, un nazionalista tedesco fucilato nella Ruhr dai nazionalisti francesi. Come lui, Matteotti era stato «tenace fino al sacrificio di sé», ma, come lui, aveva portato i suoi in «un inutile circolo vizioso di lotte, di agitazioni, di sacrifici senza risultato e senza via di uscita». Né Gramsci riteneva che da quella morte si dovesse trarre la lezione che compito degli antifascisti fosse quello di formare una generazione di «volontari della morte per ridare al proletariato la libertà perduta», come aveva concluso Piero Gobetti.2

C’è chi ha voluto vedere in queste parole irrisione, addirittura dileggio3 . In realtà Gramsci si limita a non nascondere il dissenso politico che li aveva divisi in vita. Non solo Gramsci riconosceva a Matteotti il coraggio di aver compreso e sfidato il fascismo, ma in quell’articolo rendeva ai riformisti, agli uomini che avevano fondato il Partito socialista, il merito di essere stati dei pionieri delle battaglie per sollevare gli umili, di aver suscitato in loro il «desiderio generoso di redenzione totale». Ma, ribadiva Gramsci, quel partito s’era mostrato incapace di condurre le masse popolari più in là delle «conquiste immediate e parziali», di guidarli sino alla conquista del potere, che sola avrebbe potuto difendere quelle conquiste. Già pochi mesi prima, nel pieno delle polemiche in vista della imminente campagna elettorale, Gramsci aveva sottolineato come non fosse in discussione una «quistione (meschina) di coraggio personale, ma di politica»4 . Tantomeno la questione riguardava la persona di Matteotti. Scriveva «l’Unità» appena era trapelata la notizia della sua scomparsa:

Giacomo Matteotti era un avversario fiero, deciso, irreducibile del fascismo, contro il quale si eresse inflessibilmente fin dai primissimi tempi. […] Aveva denunciato, con fermezza, con un’eloquenza materiata di fatti, le violenze che “i bravi” degli schiavisti agrari e industriali compivano contro i lavoratori, aveva combattuto, senza riserve, la politica reazionaria del Governo mussoliniano, s’era opposto con ogni energia nel seno del Partito Socialista Unitario, di cui era il segretario e l’organizzatore, alle sempre rinascenti velleità collaborazioniste, collaborazioniste anche verso il fascismo.5

Due anni dopo tutti i partiti saranno sciolti, i loro dirigenti incarcerati o costretti all’esilio. Gramsci sarà arrestato in violazione dell’immunità parlamentare e condannato a più di 20 anni di reclusione. Perché allora non si formò uno schieramento democratico in grado di fermare le violenze di una formazione minoritaria? Gli assalti alle sedi dei giornali socialisti, alle camere del lavoro, le aggressioni ai sindacalisti (anche cattolici) non erano sgraditi ai partiti della borghesia, e godettero del sostegno di larghi settori dello Stato, che videro una risposta «a quell’ascesa di masse» che già agli inizi del secolo aveva suscitato un primo “risveglio di spiriti patriottici”. Con la guerra, si estese a larga parte dell’opinione pubblica la percezione che i socialisti fossero soggetti estranei alla comunità nazionale, un “nemico interno” da espellere dall’agone politico6 , e si giustificò la limitazione alle libertà costituzionali. Lo stesso Matteotti, per il suo pacifismo integrale, era stato vittima dell’isterismo bellicista. Quando il giornale degli agrari, il «Corriere del Polesine», titolò il 5 febbraio 1915: Il dottor Matteotti deve scomparire, le autorità eseguirono: richiamato alle armi, Matteotti fu assegnato in provincia di Messina e congedato solo nel marzo 1919.

La pace presentò il conto dei costi della guerra, e si scontrarono quanti intendevano  mantenere gli assetti illiberali del periodo bellico e quanti volevano veder ricompensati i sacrifici e i soprusi patiti, vedendo nella Rivoluzione d’ottobre un’indicazione e una via. Nella primavera del 1919 le piazze si riempirono di manifestazioni, gli scioperi nelle fabbriche come nelle campagne si moltiplicarono in una misura che non aveva precedenti, alimentando la paura del “bolscevismo”. In verità, la rivoluzione appariva più un mito che un esempio da imitare: e più che sulle proprie forze, si affidava la liberazione della «schiava umanità» a quello «strano soldato» che sarebbe giunto dall’oriente, La guardia rossa.7

Nel congresso dell’ottobre 1919, la maggioranza del Partito socialista votò… per la Rivoluzione. La mozione approvata col 76% affermava letteralmente che «il trapasso del potere […] dalla classe borghese a quella proletaria» sarebbe venuto con «la conquista violenta del potere politico da parte dei lavoratori» e avrebbe instaurato «il regime transitorio della dittatura di tutto il proletariato»8 . Un mese dopo, alle elezioni – le prime con il sistema proporzionale – i socialisti ottennero una netta affermazione: 32,28% (con punte del 50% in Piemonte, del 60% in Emilia), 156 deputati, contro i 52 della precedente legislatura. Il collegio di Matteotti, Rovigo-Ferrara, si affermò come il più rosso d’Italia, dando al Psi il 73%. Il Partito popolare, nato solo pochi mesi prima, ottenne il 20% e 100 deputati.   

Le lotte bracciantili nella pianura del Po avevano ottenuto nuovi contratti agrari, che prevedevano, per chi non li rispettava, clausole di penalità sia per le aziende sia per chi vi lavorava. Il monopolio della manodopera – osservavano i comunisti – avevano portato quelle organizzazioni 

ad esercitare un potere che si estendeva a tutta l’attività produttiva della regione e a tutti gli atti della vita dei loro organizzati. Le norme con le quali veniva esercitato questo potere costitui[va] il germe di un vero e proprio “diritto proletario” e la violenza che per la difesa di esso veniva esercitata era la tipica violenza della classe che lotta per diventare Stato.9

Occorreva dare a queste lotte, era la conclusione, «uno sbocco politico»10 . Era stata questa d’altronde la lettura che, già nel 1920, gli “ordinovisti” avevano dato della realtà italiana.

La fase attuale della lotta di classe in Italia – aveva scritto Gramsci nella mozione presentata dalla sezione socialista torinese al Consiglio Nazionale del Psi – è la fase che precede: o la conquista del potere politico da parte del proletariato rivoluzionario per il passaggio a nuovi modi di produzione e di distribuzione che permettano una ripresa della produttività; o una tremenda reazione da parte della classe proprietaria e della casta governativa.11  

Che la violenza fascista avesse il carattere di reazione borghese era chiaro anche a Matteotti, che lo denunciò alla Camera il 31 gennaio 1921: 

a me preme dimostrare, soprattutto, che la violenza esercitata dal fascismo è una reazione, un mezzo, di cui la vostra classe vuol farsi arma per provvedere al proprio interesse. […] L’Agraria organizza la violenza, provoca la violenza, la più sfacciata violenza perché essa è costituita dalla più arretrata parte della borghesia, quella che, per salvare la sua borsa, sarebbe anche contenta di lasciar perire lo Stato, perché nulla le importa all’infuori di quello che è il suo profitto, e il suo guadagno immediato.

Ma senza la terzietà dello Stato, veniva meno anche la possibilità di una via democratica al socialismo.

Non è dunque vero quello che i democratici hanno detto, che cioè dentro la costituzione è possibile qualunque sviluppo delle classi lavoratrici, qualunque sviluppo del proletariato!

Giunse a minacciare una risposta violenta se il governo Giolitti non avesse fermato le violenze:

[Sinora] abbiamo detto: non bisogna reagire. E ci siamo imposti, anche con la violenza, ai nostri compagni. [… Ma] se continueranno i fatti, e se continuerà codesta vostra piccola controrivoluzione, che prepara la guerra civile, io vi dico: badate che l’esasperazione è al colmo, badate che anche la nostra autorità sulle masse ha dei limiti, al di là dei quali non può andare.

Le violenze nel Polesine però continuarono, senza che quella esasperazione popolare potesse esprimersi. Come potevano i contadini, i padri di famiglia, isolati nei loro casolari, far fronte agli assalti di decine di armati che colpivano nel cuore della notte? «L’Ordine nuovo», ora “quotidiano comunista”, il 9 giugno 1921 pubblicava, con grande risalto, una relazione di Matteotti apparsa su «Critica sociale» pochi giorni prima12 , premettendogli un breve corsivo: 

è un documento di una singolare mentalità politica e civile, quella di credere sia proprio utile – per la civiltà – lasciarsi bastonare e massacrare senza dir nulla. In situazioni simili si era finora creduto che si dovesse in qualsiasi modo resistere – uccidere o farsi uccidere – o almeno, non far teoria della impotenza. Ma oggi padre Cristoforo s’è fatto socialista…

Non era certo il coraggio che i comunisti contestavano a Matteotti, ma una linea politica. Quando, a marzo, Matteotti era stato sequestrato da una squadraccia fascista dopo un comizio a Castelguglielmo, «L’Ordine nuovo» aveva riportato con enfasi la denuncia presentata alla Camera dal deputato socialista Elia Musatti.13 Qualche giorno dopo, «L’Ordine nuovo» pubblicava il testo integrale del discorso di Matteotti alla Camera.14 In questa occasione Matteotti non prospettava più una reazione popolare (quantunque annunciasse che non avrebbe più invitato a non reagire), ma chiamava il governo ai propri doveri. All’amico Giuseppe Germani, Matteotti scriveva nel settembre 1921

Certo ogni giorno di più ci si deve persuadere che bisogna insegnare alla massa a reagire contro questi delinquenti. Ma purtroppo sorge l’altro pericolo contrario: e noi, per eccesso di coscienza, rischiamo di far la fine dell’asino di Buridano 15

Il giornale di Gramsci, anche nei momenti di più aspra polemica, mostrò sempre attenzione e rispetto per questo deputato riformista che attirava su di sé l’odio acerrimo dei fascisti. Nell’agosto 1921 il corrispondente da Roma de «L’Ordine nuovo», Leo Galetto, lo intervistò, apprezzandolo come «anatomista» «sempre interessantissimo» delle finanze pubbliche16 . 

 

I governi si succedevano, le violenze continuavano, senza che i socialisti trovassero una linea d’intesa su come fronteggiare la situazione: anzi dopo la scissione di Livorno, il Partito socialista patì una nuova scissione. Alla vigilia della Marcia su Roma, il XIX Congresso del Psi decideva l’espulsione dei riformisti. Segretario del nuovo partito, il Partito socialista unitario, Matteotti. 

Ma esisteva lo spazio per alleanze politiche che ripristinasse un terreno di legalità? Gramsci, durante i giorni dell’Aventino, osserverà retrospettivamente:

Nel 1922 i Partiti di democrazia erano in crisi: ognuno aveva nel proprio seno un «nucleo» fascista che operava a disgregarli; nel 1922 la classe operaia, battuta crudelmente per tre anni, era dispersa, demoralizzata, senza volontà.

Effettivamente, nel 1922, Mussolini era riuscito a scongiurare qualsiasi ipotesi di coalizione anti-fascista, prospettando abilmente offerte di pacificazione-normalizzazione e minacce di scontro finale. La liquidazione delle agitazioni sindacali, sia rosse che bianche, aveva reso i partiti borghesi sensibili ai richiami del fascismo; la stessa Cgl sperava di salvaguardare l’organizzazione scendendo a patti col fascismo. Gramsci stesso rilevò i «molti errori» compiuti dal Partito comunista. 

Allora non si valutava l’opposizione sorda e latente della borghesia industriale contro il fascismo e non si pensava che fosse possibile il governo socialdemocratico, ma solo una di queste tre soluzioni: dittatura del proletariato (soluzione meno probabile), dittatura dello stato maggiore per conto della borghesia industriale e della corte, dittatura del fascismo; questa concezione ha legato la nostra azione politica e ci ha condotto a molti errori17 . 

Matteotti cercò in tutti i modi di costruire uno schieramento democratico, che escludesse i comunisti; ma il Psu non si mostrava pugnace e determinato quanto il suo segretario. Scriveva Matteotti a Turati alla vigilia delle elezioni del 6 aprile:

Miseria, miseria. Così è nell’azione di tutti o di tre quarti degli uomini maggiori del nostro partito. Tutti solleciti delle loro cose; ma nessuno che sente più il Partito. Dietro non pulsa più l’anima delle masse. Bisogna ritrovarle […] altrimenti o si appartano o vanno al comunismo, se non anche qualcuno al fascismo. Bisogna far presto se non si vuole perdere tutto. Certo io non sto più oltre in una situazione come l’attuale; con un Partito che fa tutto l’opposto di quello che si vuole; perché ognuno fa anarchicamente per conto proprio; o più esattamente non fa. Io perdo tutto il mio tempo a sollecitare gente che non si muove […]. Tutti […] vogliono il nulla perché sono nulla. Io non intendo più oltre assistere a simile mortorio. Cerco la vita. Voglio la lotta contro il fascismo. Per vincerla bisogna inacerbirla. Ci vuole gente di volontà e non degli scettici18 . 

Per questa sua determinazione, e confidando sulla sua solitudine, Mussolini decise di punirlo. 

 

L’omicidio di Matteotti sembrò risvegliare negli antifascisti quelle energie, quella voglia di reagire che lui aveva cercato di sollecitare in vita. Scriveva Gramsci alla moglie Giulia il 22 giugno:

quando nessuno se l’aspettava, specialmente i fascisti arcisicuri del proprio potere infinito, il vulcano è scoppiato, sprigionando un’immensa fiumana di lava ardente che ha invaso tutto il paese, travolgendo tutto e tutti del fascismo […] Oggi la fase acuta della crisi è apparentemente superata19 .

L’esito dell’Aventino è noto. 

 

Quando il 29 aprile 1926, la Camera ricordò la scomparsa di Giovanni Amendola, Fabrizio Maffi portando il saluto dei comunisti, riprese la metafora del pellegrino:

Giovanni Amendola, come un altro scomparso, Pietro Gobetti, era un elemento rappresentativo di questa categoria di pellegrini dell’ideale in astratto. Ogni giorno qualcuno di questi pellegrini cade sul cammino e la massa generosa rende loro omaggio20 . 

Quando Maffi, subito dopo, paragonò Amendola a Matteotti per la «forza di carattere» e l’«ostinazione morale», l’aula rumoreggiò21 .

Nota

  1. Il destino di Matteotti, «Lo Stato operaio», 28 agosto 1924 (editoriale non firmato). Sull’intervento di Radek, Maximilian Becker, „Der Wanderer ins Nichts“. Karl Radeks „Schlageter-Rede“, «Aventinus nova» Nr. 49 [31.08.2014] (http://www.aventinus-online.de/no_cache/persistent/artikel/9873/ ultima visita per tutti i siti citati: 12 ottobre 2024). Pellegrino del nulla è il titolo dell’Opera da camera di Riccardo Perugini, prima esecuzione Modena, 28 aprile 2024.
  2.  p.g. (P. Gobetti), Matteotti, «La Rivoluzione liberale», n. 27, 1° luglio 1924, p. 107. 

  3.  Sui fraintendimenti reciproci cfr. G. Santomassimo, L’idea di socialismo di Giacomo Matteotti (Relazione tenuta al Convegno “Giacomo Matteotti a cento anni dall’omicidio. Socialismo e antifascismo”, Napoli 20 giugno 2024, organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), https://www.academia.edu/122843390/Il_socialismo_di_Giacomo_Matteotti. 

  4.  Masci [Gramsci], Discutiamo, se vi pare, «Più avanti!», 2 febbraio 1924; «Lo Stato operaio», 7 febbraio 1924.

  5.  **, L’on. Giacomo Matteotti scomparso, «l’Unità», 13 giugno 1924, p. 1.

  6.  L. Rapone, Socialisti, comunisti, fascismo, in «Marcia su Roma e dintorni». Dalla crisi dello Stato liberale al fascismo, a cura di Claudio Natoli, Roma, Viella, 2024, pp. 181-95.

  7.  La canzone di Raffaele Mario Offidani (Spartacus Piceno) è consultabile su: https://www.ildeposito.org/canti/la-guardia-rossa.

  8.  Il Partito Socialista Italiano nei suoi Congressi, vol. III, 1917-1926, a cura di F. Pedone, Milano 1963, pp. 75-6.

  9.  La Relazione sul fascismo scritta da Togliatti per il IV congresso dell’Internazionale (ottobre 1922), ora in P. Togliatti, La politica nel pensiero e nell’azione. Scritti e discorsi 1917-1964, a cura di M. Ciliberto, G. Vacca, Bompiani, Milano 2014, p. 52

  10.  Ivi, p. 53.

  11.  Per un rinnovamento del partito socialista, «L’Ordine Nuovo», 8 maggio 1920.

  12.  G. Matteotti, La schiavitù dei lavoratori del Polesine, in occhiello: Come muore lo Stato liberale in Italia. Originariamente apparso su «Critica sociale», xxxi, n. 11, 1-15 giugno 1921, col titolo Il terror bianco nel Polesine.

  13.  L’on. Matteotti aggredito dai fascisti all’interno della corrispondenza da Roma, La legge sui contratti agrari, «L’Ordine nuovo», 14 marzo 1921.

  14.  La lotta contro i contadini del Polesine e il Partito socialista, «L’Ordine nuovo», 20 marzo 1921. Il discorso di Matteotti del 10 marzo era stato dato l’indomani nella sintesi del dibattito parlamentare.

  15.  G. Matteotti, Epistolario, 1904-1924, a cura di S. Caretti, Pisa, PLUS-Pisa University press, 2012, p. 115.

  16.  l.g. (Leo Galetto), Quel che pensa l’on. Matteotti dell’economia. Intervista a Matteotti, «L’Ordine nuovo», 2 agosto 1921, p. 3.

  17.  Masci a Cari compagni, Vienna, 9 febbraio 1924, A. Gramsci, Lettere 1908-1926, a cura di A.A. Santucci, Torino, Einaudi, 1992, p. 235.

  18.  Matteotti a Turati, 27 marzo 1924, in Id., Epistolario, cit. p. 239.

  19.  Gramsci, Lettere 1908-1926, cit., p. 356.

  20.  Le dichiarazioni di Mussolini alla Camera. Amendola commemorato dal gruppo comunista, «l’Unità», 30 aprile 1926 (lievemente diverso il resoconto parlamentare: «Giovanni Amendola, come un altro scomparso, Pietro Gobetti, era uomo rappresentativo di queste categorie, che noi potremmo chiamare i pellegrini dell’ideale in astratto, troppo in astratto. Ogni giorno qualcuno di questi pellegrini cade lungo il cammino conteso, e la massa generosa rende loro omaggi, anche se costoro hanno lottato per altro che per la sua redenzione»).

  21.  Il verbale registra un laconico «(Commenti)». Su «La Stampa» del 30 aprile si riporta l’interruzione di Federzoni, mentre altri giornali sorvolano. L’«Avanti!» segnala l’interruzione di Starace: «Vuoi essere commemorato anche tu?».

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