Episodio 2 – Giacomo e Matteo Matteotti

Progetto: Matteotti e gli altri

Podcast: Rivoluzionari

Calssificazione: Contenuti adatti a tutti

Stagione: 3

Numero dell’episodio: 2

Tipo di episodio : Completo

 

Intervista a Giacomo Matteotti e Gaetano Salvemini, uno dei più importanti intellettuali italiani del Novecento, storico, educatore e docente, militante politico impegnato a rinnovare il Mezzogiorno d’Italia.
Un secolo fa le loro storie hanno viaggiato su binari paralleli, le loro vite si sono incrociate.
La loro unione ideale, paradossalmente, si rafforzò nel nome dell’antifascismo dopo la morte di Matteotti, nel 1924.
E noi partiremo proprio da quell’anno per approdare all’oggi, in un viaggio immaginario tra passato e futuro.

Podcast realizzato da FIAP con il contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Struttura di Missione Anniversari Nazionali ed eventi sportivi nazionali ed internazionali. Scritto dallo storico Andrea Ricciardi, sceneggiato da Donatella Fiorella e Andrea Ricciardi, narrato da Edoardo Mininni, Vittorio Tosi, Donatella Fiorella e Dario Di Stano; con la produzione di Gabriele Beretta.

Andrea Castagna

Giacomo e Matteo Matteotti

Non è possibile provare a comprendere la figura storica di Giacomo Matteotti senza affrontare il rapporto con la sua terra d’origine, il Polesine, e con la famiglia, in particolare il fratello maggiore Matteo. 

Il Polesine tra fine Ottocento e inizio Novecento

Il Polesine, regione storica e geografica delimitata dai tratti terminali del fiume Adige a nord e del fiume Po a sud, attualmente coincide con i confini amministrativi della provincia di Rovigo, nel Veneto meridionale. Si tratta di un territorio pianeggiante, di origine paludosa, rimodellato nei secoli dalle alluvioni, in particolare quelle del Po. Nel giugno 1884, poco meno di un anno prima della nascita di Giacomo, nel Polesine esplose una diffusa protesta popolare, detta “la boje”, un’esclamazione dialettale di giubilo o di disappunto che rimanda alle pentole in ebollizione, sul punto di tracimare: “La boje! La boje! De boto la va fora!”. Fu il primo sciopero generale contadino in Italia, duramente represso con centinaia di arresti, a testimonianza di un radicato malessere sociale esasperato dalle devastazioni provocate dalla terribile alluvione del 1882, la prima, grande calamità naturale che colpì l’Italia dopo l’Unità: due terzi del Polesine finirono sott’acqua; centomila abitanti della provincia persero tutto. Uno scenario purtroppo destinato a ripetersi nel 1951 con la rotta del Po a Occhiobello. 

Nonostante le imponenti opere per la messa in sicurezza idraulica e la bonifica di vaste aree, la miseria non diminuì, come dimostra la drammatica emigrazione verso l’America meridionale di quasi un terzo della popolazione polesana tra 1886 e 1901, ma le profonde trasformazioni nella conduzione delle terre determinarono l’aumento della disoccupazione e dei lavori precari, con aspri scontri tra proprietari fondiari e lavoratori. Il processo di industrializzazione che interessò tra fine Ottocento e inizio Novecento molte regioni d’Italia non riguardò infatti, se non in minima parte, il Polesine, la cui economia rimase totalmente dipendente dall’agricoltura: nel 1911 il 62% della popolazione rurale era composto da braccianti a giornata, in fortissimo aumento rispetto al 35,4% del 1881: decine di contadini costretti a contrattazioni giornaliere, fiumi di uomini che ogni mattina si spostavano da una località all’altra e da un’azienda all’altra.

L’impegno politico dei fratelli Matteotti si inserisce in questa realtà dinamica e conflittuale che impone loro di contemperare gli slanci utopici del socialismo con le esigenze del pragmatismo, orientando la propria attività verso la ricerca di soluzioni concrete capaci di migliorare le condizioni materiali di vita delle classi popolari, in particolare contadini e braccianti.

Le origini della famiglia Matteotti

Giacomo Matteotti nacque da Girolamo ed Elisabetta Garzarolo, detta Isabella, il 22 maggio 1885 a Fratta Polesine, un piccolo centro che nel censimento del 1881 contava 3247 residenti, distante 18 chilometri dal capoluogo Rovigo, secondo di tre fratelli: Matteo, il maggiore, di nove anni più anziano, era nato il 6 luglio 1876; Silvio, il minore, di due anni più giovane, nel 1887.

La famiglia Matteotti è originaria di Comàsine, zona mineraria nella valle di Pejo, in Trentino; i Matteotti giunsero in Veneto, al tempo parte dell’Impero d’Austria, come lo stesso Trentino, effettuando lavori stagionali: nel 1837 Stefano Matteotti, bisavolo di Giacomo, praticava il commercio di ferramenta e oggetti in rame ad Arquà Polesine. Attorno al 1845 Matteo Matteotti, nonno di Giacomo, si stabilì definitivamente con la moglie Caterina Sartori a Fratta Polesine, alcuni anni dopo la nascita, nel 1839, del primogenito Girolamo, padre di Giacomo. 

Girolamo, poco più che diciottenne, aveva proseguito l’attività paterna dopo la morte di Matteo, avvenuta il 9 giugno 1858, all’età di 47 anni, in seguito alle ferite riportate in una violenta rissa. Allora era da poco stata avviata anche una piccola bottega situata nel centro di Fratta Polesine, un emporio dove si poteva trovare di tutto e che attirava clienti anche dal circondario. Nel 1876, subito dopo il matrimonio con Isabella, Girolamo acquistò da un certo Natale Susato una porzione della casa che sorge in contrada Ruga all’incrocio con la strada degli Oroboni e quella che da Fratta porta verso Villanova del Ghebbo, dove lo Scortico, un modesto canale navigabile, incontra il corso del collettore Valdentro. Diventerà unico proprietario dell’edificio nel 1895: oggi le stanze dove i fratelli Matteotti trascorsero l’infanzia ospitano la Casa Museo Giacomo Matteotti, riconosciuta Monumento nazionale con legge 20 dicembre 2017, n. 213.

Girolamo mantenne le proprietà fondiarie in Trentino, accresciute grazie all’eredità della nonna Anna Maria Corsini e, d’intesa con la moglie, ampliò il raggio delle proprie attività commerciali aprendo un nuovo negozio nel Comune di Costa di Rovigo, confinante con Fratta. Dopo la sua morte prematura, avvenuta nel 1902, Isabella dimostrò di avere ottime capacità gestionali e fiuto negli affari, acquistando appezzamenti di terreno in vari Comuni della provincia di Rovigo. L’attivismo e la parsimonia le consentirono di accumulare un patrimonio fondiario frammentato, ma di una certa consistenza: nel 1925 fu stimato in circa 156 ettari di terreno e fabbricati per un valore complessivo pari a 1.203.826 Lire.

Il patrimonio dei Matteotti

La ricchezza della famiglia Matteotti è stata molto discussa, per origini e dimensioni, già dai coevi. Sul tema hanno consentito di fare chiarezza gli studi di Gianpaolo Romanato. Sicuramente Girolamo si dimostrò abile nel cogliere l’opportunità rappresentata dalla vendita all’asta dei beni parrocchiali espropriati dallo Stato con le leggi di “eversione dell’asse ecclesiastico” del 1866 e del 1867; inoltre le famiglie costrette a emigrare in massa, soprattutto verso il Brasile, dopo la devastante alluvione del 1882, mettevano in vendita i loro modesti possedimenti per racimolare il denaro per il viaggio e iniziare una nuova vita oltreoceano, consentendo un ulteriore ampliamento delle proprietà dei Matteotti, anche se spesso si trattava di piccoli appezzamenti, non contigui tra loro. 

Quanto all’accusa di praticare l’usura, oggetto di ripetuti e violenti attacchi nei confronti di Giacomo, premesso che il prestito a interesse era molto diffuso in Polesine, anche per l’assenza di sportelli bancari, soprattutto nei piccoli centri la fondazione della Banca Cattolica del Polesine risale al 1901 , la documentazione conservata presso lo studio del notaio Giacomo Zaio a Lendinara dimostra che il padre Girolamo, negli ultimi trent’anni dell’Ottocento, concesse a gente della zona circa quaranta prestiti di denaro, variabili tra le 500 e le 5500 Lire, a tassi di interesse spesso anticipati e oscillanti tra il 6 e il 10% per periodi di tempo che andavano da un minimo di quattro anni fino a un massimo di venti anni; il prestito era sempre accompagnato dall’ipoteca su un bene immobile del destinatario del denaro. L’attività di prestasoldi, stando alle fonti disponibili, pare dunque essersi configurata con modalità ben diverse dallo strozzinaggio e venne progressivamente meno con l’estendersi nel Rodigino, soprattutto per iniziativa cattolica, di una rete di piccole casse rurali.

La propaganda avversa non mancò di definire a più riprese Giacomo “socialista milionario”, riservandogli il trattamento dovuto ai “disertori di classe”, e anche tra i compagni di militanza era tenuto in sospetto per la ricchezza: complici forse i modi riservati e l’argomentare puntuale, fu soprannominato “l’aristocratico”. Se dal canto suo Matteotti non fece nulla per nascondere le proprie condizioni agiate, non mancando di frequentare i grandi alberghi e le villeggiature estive e invernali, i voti di preferenza ottenuti alle elezioni certificano una larga fiducia popolare, conquistata mediante il lavoro quotidiano nell’organizzazione di leghe e cooperative, il costante sostegno alle amministrazioni comunali socialiste, soprattutto in materia di bilancio, nonché tramite l’impegno diretto nelle trattative sindacali con i grandi proprietari terrieri e nella stesura di patti agrari a vantaggio di contadini e braccianti.

La passione per gli studi

Invero, le attività economiche di famiglia non attrassero mai Giacomo, il quale predilesse da subito lo studio, trovando nel fratello maggiore Matteo un punto di riferimento imprescindibile, soprattutto durante l’adolescenza.

Matteo, dopo aver concluso il terzo anno di corso della scuola civica di Trento, nel 1892 si iscrisse alla Scuola superiore di commercio di Venezia, da cui sorgerà la futura Università Ca’ Foscari. Nel 1897, ottenuto il diploma, si trasferì a Torino per frequentare il Laboratorio di Economia politica, dove ebbe un illustre compagno di studi, Luigi Einaudi, futuro presidente della Repubblica. Nel 1908 si laureò in Scienze applicate al commercio. Collaboratore dell’autorevole rivista “La Riforma Sociale”, diretta da Francesco Saverio Nitti e Luigi Roux, nel 1902 fu promosso condirettore da Luigi Einaudi.

Giacomo, dopo aver frequentato il ginnasio-liceo “Celio” di Rovigo, nonostante la scomparsa del padre l’anno precedente, e senza farsi distrarre dagli esordi nell’attività politica, nel 1903, a diciotto anni, conseguì il diploma. Si iscrisse quindi alla facoltà di Legge dell’Università di Bologna, dove si laureò nel 1907 con il massimo dei voti e la lode: docenti e compagni di corso ricordano uno studente modello, poliglotta parlava fluentemente francese, inglese e tedesco senza grilli per la testa, ad eccezione, ovviamente, degli ideali socialisti.

Nel 1901 Matteo aveva pubblicato per la prestigiosa casa editrice torinese Fratelli Bocca un saggio di 276 pagine sul tema dell’assicurazione contro la disoccupazione, una questione di grande attualità nel dibattito politico e giuridico dell’epoca, affrontato in prospettiva comparata analizzando la nascente legislazione sociale delle nazioni europee più avanzate. Giacomo non fu da meno, pubblicando nel 1910, sempre presso l’editore Fratelli Bocca di Torino, la rielaborazione in forma di libro della sua tesi di laurea, La recidiva. Saggio di revisione critica con dati statistici: oltre 400 pagine in cui argomentava l’importanza di mantenere questo istituto nell’ordinamento, nella convinzione che non si potessero trascurare i trascorsi di un imputato.

La passione per gli studi aiutò certo Giacomo a superare il tremendo periodo in cui perse entrambi i fratelli, vittime della tubercolosi: Matteo spirò a trentadue anni il 18 marzo 1909, Silvio a ventitré anni, il 24 dicembre 1910. In quegli anni, attratto più dalla carriera universitaria che dalla professione forense, viaggiò molto all’estero visitando Francia, Inghilterra, Austria, Svizzera e Germania: da libero docente in diritto penale lavorava a una ricerca sul sistema penitenziario nelle nazioni europee, mutuando l’approccio comparato dall’esempio di Matteo. Prima di conoscere la futura moglie Velia Titta, sorella del celebre baritono Titta Ruffo, le altre consolazioni di Giacomo furono l’arte e la musica, oltre all’impegno politico.

L’adesione al socialismo

Sicuramente il dramma della miseria in cui viveva la stragrande maggioranza degli abitanti del Polesine di inizio Novecento, ogni giorno davanti agli occhi dei fratelli Matteotti, rappresentava una spinta potente verso la scelta del socialismo e la lotta per l’emancipazione dei lavoratori. Fame, freddo e ignoranza nel 1911 in provincia di Rovigo l’analfabetismo riguardava il 36% della popolazione, con punte del 46% nel circondario di Adria accompagnavano la quasi totale assenza di diritti nelle campagne.

In questo contesto, Giacomo sviluppò una pratica socialista non fondata sulla teorizzazione della lotta di classe, bensì condotta secondo i principi morali di giustizia, libertà, eguaglianza e fratellanza: seguendo anche in questo caso il fondamentale esempio di Matteo, nel 1898, a tredici anni, aderì alla gioventù socialista, nel gennaio 1901 pubblicò il primo articolo su “La Lotta”, organo di stampa ufficiale del Psi polesano e nel 1904 si iscrisse al Partito socialista italiano.

Proprio nel 1904 Giacomo sostituì Matteo nel ruolo di responsabile del Comitato centrale del collegio di Lendinara e nel collegio di Badia Polesine partecipò alla campagna coronata da successo per la rielezione a deputato di Nicola Badaloni, detto “il medico della pellagra” per i suoi sforzi nel debellare tale malattia.

L’esperienza nelle amministrazioni locali

Percorrendo le orme del fratello Matteo, già sindaco di Villamarzana, consigliere provinciale e presidente della Società di mutuo soccorso di Fratta Polesine, nel 1908, a 22 anni, Giacomo entrò nel Consiglio comunale di Fratta Polesine, eletto con 86 voti di preferenza. Nonostante nell’estate del 1910 si trovasse a Oxford per ragioni di studio, Giacomo fu candidato dal Psi alle elezioni per il rinnovo del Consiglio provinciale di Rovigo in un collegio sulla carta perdente, quello di Occhiobello: a sorpresa risultò eletto, pur non avendo partecipato alla campagna elettorale, sconfiggendo con 1028 voti contro 231 il leader dei repubblicani polesani nonché deputato in carica Italo Pozzato. 

La norma del tempo consentiva sia l’elettorato attivo che quello passivo ai proprietari immobiliari che versavano imposte comunali: Giacomo poté quindi essere candidato socialista ed eletto in diversi Comuni: nel 1912 fu sindaco di Villamarzana; dal giugno 1914 al luglio 1915 consigliere comunale a Fiesso Umbertiano, dal 1914 al 1919 assessore anziano, l’equivalente dell’attuale vicesindaco, a Fratta Polesine; dal 1914 al 1918 assessore effettivo a Frassinelle Polesine; dal 1916 al 1920 consigliere comunale a Villanova del Ghebbo. 

All’epoca della sua iscrizione al partito, il socialismo polesano aveva una struttura organizzativa molto debole, con una decina di sezioni funzionanti sui 63 Comuni della provincia di Rovigo. Esattamente dieci anni dopo, alle elezioni amministrative del 21 giugno 1914, 32 Comuni furono conquistati dai socialisti: secondo il prefetto, i socialisti avevano trascinato la folla dei nuovi elettori, ammessi alle urne con il suffragio universale maschile introdotto da Giovanni Giolitti nel 1912, a votare per loro. Per non parlare dei progressi delle “leghe di miglioramento”, lo strumento per organizzare le lotte dei contadini e dei braccianti, fondamentali per l’attività quotidiana di rivendicazione dei diritti degli sfruttati.   

Secondo le testimonianze coeve, Giacomo era un amministratore severo, esigente sia con i consiglieri di maggioranza che nei confronti dei segretari comunali e del personale, anche perché capace come pochi di leggere i bilanci.

 

Un socialista riformista 

L’esperienza maturata nelle amministrazioni locali in Polesine, seguendo l’esempio pratico e ideale del fratello Matteo, sarà fondamentale per delineare la complessa azione di respiro europeo che Giacomo svilupperà una volta eletto deputato in seguito alla tornata elettorale del 16 novembre 1919.

Presentando nel 1912 su “La Lotta Proletaria” il suo approccio gradualista alle questioni, Giacomo Matteotti dichiarava: “richiede un lavoro enorme, molteplice, vario: propaganda e organizzazione, revisione teorica e azione pratica, studio ed esperimento, preparazione tecnica per le riforme legislative, preparazione per l’opera amministrativa nei Comuni; facoltà di comprendere l’ideale e il reale, l’immediato e il lontano: di discernere il lecito dall’illecito, di conoscere l’anima popolare, di non titillarla demagogicamente, ma non di prenderla di fronte ed allontanarla da sé con atteggiamenti ad essa inaccessibili; di accostarla e piegarla, e educarla ad essere astuta ma insieme diritta, pratica e idealistica, socialista insomma”. 

Perché, come scriveva alla moglie Velia a fine 1914, “Il piccolo centro è il grande centro; non vi è che una differenza d’ampiezza materiale: tutta la campagna senza fine del Polesine, è la grande città: la cronaca di Milano equivale alla cronaca dei campi nostri, con le stesse miserie e meschinità. Chi si fa centro d’un movimento in una capitale nulla attua di più di chi sappia farsi centro di tutte queste case sparse, salvo la minore réclame proprio qui dove maggiore è la difficoltà per riunire membra più staccate e dar loro un indirizzo, una nuova vita comune. Anzi qui il tentativo è nuovo, perché si tratta di creare, mediante questa singolare e forse da nessuno avvertita unione di Comuni ch’io preparo, come una coscienza di immensa città unita, che muove i primi passi”.

Bibliografia essenziale

Per la stesura del presente testo sono debitore soprattutto nei confronti dei libri Giacomo Matteotti, L’Italia migliore, di Federico Fornaro (Torino, Bollati Boringhieri, 2023) e L’oppositore. Matteotti contro il fascismo, di Mirko Grasso (Roma, Carocci, 2024).

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